lunedì 4 ottobre 2010

Kundun - Martin Scorsese (1997)

(Id.)

Visto in VHS.

Questo è il film di Scorsese che ho visto meno di recente in assoluto, ed in effetti lo ricordavo poco. In definitiva è la storia dell’ultimo Dalai lama dalla nascita al momento dell’esilio in India.

Il film è un piccolo gioiello di ecletticità del regista americano che mostra quant’è bravo a fermarsi quando è il caso di fermarsi e quando invece può giocare a fare il più grande artista vivente.

L’incipit è tutto in mano allo Scorsese classico, fatto di dettagli, di inquadrature sghembe e carelli, ovviamente tutto perfetto, ben calibrato e completamente in linea con l’ambientazione tibetana anni ’30; poi il film prosegue un poco più consueto, e il lavoro maggiore è affidato ai soliti noti, con un Ferretti mai così contenuto e con i costumi mai così realistico.

Scorse si mostra di nuovo in grande spolvero nel finale, sempre più spirituale e metafisico, dove anche la macchina da presa sembra trasportata in uno stato superiore di consapevolezza ed incornicia i fatti in un modo mai più così ai limiti del percepibile (basti il momento in cui la camera si avvicina al Dalai lama con una sequenza rapidissima di inquadrature fisse che dona a questa sorta di zoom le dinamiche e l’estetica di una visione o di un sogno).

Scorsese è perfettamente in linea con la storia qui rappresentata, anche se sembra lontana dal suo campo d’azione, in definitiva si tratta della parabola umana di un personaggio con indubbie capacità che però non lo porteranno alla vittoria effettiva, il tutto intriso in quel senso di spiritualità tanto cara al regista. Un film dimenticato, incomprensibilmente dimenticato.

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