lunedì 28 febbraio 2011

Vincitori e vinti - Stanley Kramer (1961)

(Judgment at Nuremberg)

Visto in VHS.

La descrizione del processo a 4 gerarchetti nazisti nel 1948 (giusto dei giudici e un ex ministro della giustizia) presieduto da un giudici incredibilmente open minded, disposto a capire le ragioni dei tedeschi prima di condannarli in toto.

Un film fondamentale, in quanto è il primo (e che io sappia, quasi l’unico) a mantenere una certa oggettività sulla Germania nazista (è anche il primo, che io sappia, a mostrare vere immagini dei campi di sterminio dopo la liberazione). Mostra tutti i punti di vista, dai più estremisti (sia dei tedeschi, come il procuratore ora sotto accusa, sia degli americani, come l’attuale avvocato dell’accusa) a quelle più moderate, passando per le 2000 sfaccettature che un’ideologia politica (ed un sistema satanico) ha avuto nella vita di tutti i giorni. Non ci sono giustificazioni (né assoluzioni, neppure per i personaggi positivi), ma la voglia di mostrare e di far capire, come sia possibile vivere, andare avanti, nonostante si viva in uno stato nazista e senza fare nulla per opporvisi. Certo la continua, protestata, invocazione di ignoranza su quanto avvenisse nei campi di sterminio può essere creduta o meno, ma cambia poco le cose; come dice l’avvocato tedesco, li ad essere sotto accusa sono tutti i tedeschi (e non dovrebbero essere i soli).

Come dicevo le colpe sono distribuite giustamente, e l’assoluzione finale non c’è (com’è giusto che sia); ma il film si permette il lusso di difendere i tedeschi e di comprenderli. Cosa non da poco.

PS: Non ho mai nominato Kramer, ma lui ci va a nozze coi legal movie e, seppure piuttosto contenuto, danza con la macchina da presa, inquadra su più piani (tutte inquadrature funzionali, che servono a mostrare in primo piano chi parla e in secondo piano chi viene nominato) e si ferma quando invece il volteggiare sarebbe superfluo. Peccato invece per il cast all star, in gran parte sprecato.

domenica 27 febbraio 2011

Apoteosi di Olympia - Leni Riefenstahl (1938)

(Olympia 2. Teil - Fest der Schönheit)

Visto in VHS.

Il secondo film tratto dalle registrazioni delle olimpiadi del ’38 riguarda tutti gli sport non toccati nel primo. Se nell’altro c’era infatti l’atletica, in questo ci sono tutti gli sport moderni, dalla scherma, all’ippica, agli sport d’acqua.

In questo film la Riefenstahl osa molto di più, puntando quasi tutto sul’estetica e trasformando le gare (i cui risultati sono sempre meno importanti) in vere e proprie sfide di corpi e di ombre. Stupenda la sequenza iniziale della scherma e tutta quella dei tuffi, in un escalation di inquadrature azzardate e montaggio.

La Riefenstahl inquadra da ogni angolatura, mette una macchina da presa dentro la piscina e sfrutta il controluce; le gare sportive diventano quasi unicamente un tentativo di mettere in risalto l’azione fisica e l’estetica che essa incorpora.

sabato 26 febbraio 2011

Olympia - Leni Riefenstahl (1938)

(Olympia 1. Teil - Fest der Völker )

Visto in VHS.

Documentario delle olimpiadi del 1938. Diciamolo subito, è un film di propaganda nazista perché è stato voluto e finanziato dai nazisti, ma salvo qualche svastica sulle bandiere e qualche immagine di Hitler (per lo più all’inizio) l’opera non sembra propendere troppo per i padroni di casa, e si limita a fare quello che è nei progetti. Un documentario sulle olimpiadi.

Le sequenze migliori sono quelle iniziali, dove tutto è estetica ed inventiva, dove più che un film ci si trova davanti ad un’opera d’arte visiva. Il film inizia con la rappresentazione classica (greca) di bellezza, un paragone con gli attuali atleti e poi la corsa della fiaccola olimpica da Olimpia a Berlino (idea questa della stessa Riefenstahl e qualche gerarca). Come dicevo, una serie di sequenze magnifiche, che da sole mostrano le capacità della regista.

Poi il film diventa effettivamente un documentario. Vengono mostrate le sequenze più interessanti (e tutte le finali) delle varie specialità. La Riefenstahl sembra più interessata al gesto atletico piuttosto che hai risultati, ma ovviamente ci sono anche le gare, mostrate con un dispiegamento di mezzi invidiabile, carrelli, mille inquadrature in contemporanea, primi piani, dettagli e migliaia di ralenty (è evidentissimo l’influsso che la regista tedesca ha dato alle regie sportive). Anche se per mio gusto personale a parte prettamente documentaristica ha il maggior interesse nel mostrare le piccole differenze coi giorni nostri, dai posti blocco realizzati scavando buchi nel terreno, al salto in alto prima del metodo Fosbury.

Un film decisamente buono che dimostra la grande tecnica ed il gusto estetico della Riefenstahl e, a mio avviso, l’insistenza delle inquadrature in favore di Owens dimostrano una certa simpatia per lo sportivo simbolo di quelle olimpiadi che cozza contro l’idea di una regista politicamente schierata….

venerdì 25 febbraio 2011

Il cigno nero - Darren Aronofsky (2010)

(Black swan)

Visto al cinema.


Una ballerina, ormai quasi fuori tempo massimo, ancora succube di una madre che vive attraverso di lei e inprigionata in un infantilismo reso accettabile solo dall'ossessione della danza, riesce ad ottenere la parte della prima ballerina ne "Il lago dei cigni". Tecnicamente perfetta, non ha però lo spirito giusto, il giusto piglio (il cuore, come dice Cassel), per interpretare il sensuale cigno nero. La sua frustrazione, la sua rabbia, ma anche la sua pulsione sessuale e la paura di essere sostituita determineranno in lei una trasformazione in una nuova personalità più carnale e viva; ma quello che lei vedrà (e che vede anche il pubblico) è una trasformazione fisica, una distruzione del suo corpo graduele e continua fino all'inevitabile finale che, come in una fiaba di Anderson, le donerà il successo, ma con costi enormi.

Non creod di esagerare se dico che il miglior film di Aronosfky (non ho mai visto "L'albero della vita", ma a quanto pare fa schifo a tutti); e ci frulla dentro tutte le sue opere passate. C'è tantissimo "The wrestler", con le nuche inquadrate continuamente, la macchina da presa che riempie ogni inquadratura con la sua protagonista; un personaggio che vive grazie al suo corpo, che sfrutta e che abusa in ogni modo pur di riuscire (direi quasi che che Aronofsky è il più concreto dei nuovi registi del body horror); però ci mette in mezzo pure tutta la disturbante follia di "pi greco" (ottimo l'uso dei suoni in questo film come in quello) e il visrtuosismo dietro la macchina da presa di "Requiem for a dream" (senza però tutto la fighetteria achiappagiovani).
Qui lo dico e qui lo nego, questo è anche il miglior film sulla danza (ok, di questo genere non ne ho visti moltissimi) nonchè il migliore sul rapporto (in questo caso malato) tra arte e vita.

Detto ciò il film è una parabola discendente negli abissi della follia, resa in maniera relistica e disturbante; un film che sfocia nell'horror vero e proprio solo in una sequenza nel finale, per tutto il resto del tempo crea una enorma tensione costante ed eccessiva come non succedeva da parecchio tempo a questa parte. Ha anche il vantaggio di non eccedere troppo nelle trovate kitch (anche se ci sono, ma bisogna mmettere che Aronofsky le ama) e si avvale di un cast stupendo, con una Portman mai così brava.
Purtroppo va notato come la componente erotica del film sia stata enormemente gonfiata dalla critica, e chi va a vederlo solo per quello rimarrà dluso (lo ammetto ci son rimasto male...).

Un film strepitoso come non si vedeva da tempo.

PS: Stupendo anche tutto il corredo di locandine e poster pubblicitari in stile sovietico o anni 30. Eccone un po, oltre a quello pubblicato in alto.


giovedì 24 febbraio 2011

Hot fuzz - Edgar Wright (2007)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in italiano.

Prima di essere un magnifico film comico, questo è un film magnifico, un buon film d’azione e un ottimo film mystery.

Un poliziotto troppo bravo, tanto da sminuire tutti i colleghi, viene mandato da Londra ad un paesino nella provincia più campestre, dove tutto sembra tranquillo… ovviamente non sarà così, anzi cominceranno una serie di morti da tutti considerati incidenti…

Il film è eccezionale. La regia è perfetta, con una fotografia all’altezza, un montaggio serrato e preciso e scelte estetiche funzionali (con in più una piccola dose di splatter per accontentare i più esigenti). Magnifiche le continue strizzatine d’occhio a film di genere, da quelli d’azione, all’horror, fino ai western con il ritorno in città del poliziotto. (da sottolineare la scena in cui i due poliziotti guardano “Point break” e “Bad boys 2” mentre con un montaggio parallelo da urlo vengono affiancati alla morte dell’imprenditore).

Come film comico è tutto perfetto, fa ridere senza se e senza ma.

Come film d’azione ci da dentro nel finale. È vero le scene non sono da 10 e lode, ma per un film comico sono decisamente superiori alla media.

Ma ciò che più colpisce è la precisione chirurgica della sceneggiatura, dove tutti i minimi riferimenti vengono continuamente ripetuti per tutto il film (dal “ficus”, al cigno ricercato) mentre quelli più importanti, quelli che raccontano la storia vera e propria vengono prima ostentati, poi raccolti per dare un movente che viene buttato all’aria per tornare all’ipotesi iniziale (non posso essere più reciso di così per evitare lo spoiler; però è stupendo il modo in cui il film gioca col pubblico, facendo credergli quello che vuole). Infine è da applaudire anche il citazionismo del film, non fine a se stesso, ma dapprima spiegato dai personaggi e poi incastonato perfettamente nel film, dandogli quindi uno spessore vero e proprio (su tutti, ovviamente, la scena dell’urlo di “Point break”).

Che dire, un mix perfettamente riuscito. Un film perfetto.

PS: comparsate irriconoscibili di Peter Jackson nei di Babbo natale l'accoltellatore e di Cate Blanchett nella ex ragazza di Pegg.

mercoledì 23 febbraio 2011

Buongiorno tristezza! - Otto Preminger (1958)

(Bonjour tristesse)
Visto in DVD.

Un viveur si districa tra feste parigine e spiagge della costa azzurra con la figlia a cui lascia enormi libertà e una selva di amanti del momento. Quando però deciderà di mettere la testa a posto sceglierà una donna abbastanza rigida, ma incredibilmente alla mano, almeno fino alla proposta di matrimonio, dopo la quale si sentirà in dovere di tutelare la ragazza. Peccato che lei non voglia essere tutelata e farà in modo (con uno stratagemma non proprio geniale, ma efficace) di farla lasciare. La donna non reggerà al dolore e si ucciderà. Da quel momento la vita del padre e della figlia riprenderà identica a prima, ma se in precedenza la loro felicità era autentica, ora sarà solo una pretesa di allegria.

Storia narrata in flashback in cui il grigio presente è girato in B/N, mentre il felice passato è a colori.

La trama è incredibilmente intimista, non originale, ma narrata col giusto piglio, sempre interessante e giustamente patetica nel finale. Il tono è sempre azzeccato e se anche Preminger non guizza per inventiva intrattiene nel modo giusto.

Un dramma da camera garbarto ed efficace. Cast perfetto.

martedì 22 febbraio 2011

Carmen Jones - Otto Preminger (1954)

(Id.)

Visto in DVD.

A Broadway le hanno proprio pensate tutte, ed ecco quindi la versione musical della “Carmen” di Bizet; e dico proprio quell’opera perché han preso le musiche e ci hanno fatto cantare sopra delle canzoni. Quindi seguiamo le avventure di un soldato diviso fra la sua ragazza e la vamp di turno che se lo usa come vuole, lo mette nei guai e se ne disinnamora presto… peggio per lei.

C’è anche da sottolineare che i personaggi sono tutti dei neri, dettaglio non indifferente nel 1954…

Inutile invece dire che le canzoni sono belle…

Detto questo le particolarità però sono finite. Preminger sembra non aver mai visto un musical di Minnelli e lascia da parte ogni coreografia; mentre cantano i personaggi si limitano a fare quello che stanno facendo in giro per la stanza; mentre il regista, al massimo, si accontenta di un piano sequenza per la parte musicale… niente di che comunque. Mentre tutta la messa in scena è ravvivata solo dal technicolor, senza nessun idea da parte del regista.

Il film quindi si riduce in un’idea carina, ma realizzata come storia, tecnicamente ed esteticamente senza originalità.

lunedì 21 febbraio 2011

Il segreto d'una donna - Otto Preminger (1949)

(Whirlpool)

Visto in DVD.

La moglie di un noto psicanalista si scopre cleptomane, per la vergogna di essere alla stregua delle pazienti del marito decide di tenere per se quest’oscuro segreto e si affida ad un ipnotista ciarlatano. Lui dapprima l’aiuta, le risolve i guai legati al furto e le elimina l’insonnia; poi però la sfrutta, e mentre è sotto ipnosi la utilizza per i propri scopi.

Sarò io che a pelle non sopporto le storie di ipnotisti superpotenti che fanno fare quel che vogliono agli altri, sarò io che le considero storie idiote, ma il film è decisamente inaccettabile.

Per carità, l’arte di Preminger di creare piccoli piani sequenza è esaltata dall’uso dei soli interni, e quindi la macchina da presa si trova a danzare fra i personaggi dando una cornice buona a quello che comunque rimane un film cretino.

domenica 20 febbraio 2011

Tommy - Ken Russell (1975)

(Id.)

Visto in VHS, in lingua originale sottotitolato in italiano.


Figlio di un militare scomparso in guerra assiste al ritorno a casa del padre, ma purtroppo vi assiste anche il nuovo compagno di mamma, che fa fuori il padre biologico. Lo shock della cosa produrrà nel bimbetto non pochi problemi. Diventerà sordomuto e pure cieco. Cresciuto subirà di tutto, finchè, fortuitamente non riacquisterà i sensi e diventerà il capo di una setta, molto utile a fare soldi, ma meno a far raggiungere l’illuminazione ai suoi adepti.


Non un musical ma una vera e propria opera rock con ottime musiche targate Who (a cui appartiane il concept). La storia è una parabola cristologica, sorprendete, lisergica e assolutamente non prevedibile fino alla fine, il cui concetto di base può sfuggire, ma i 2000 concetti che ci svolazzano dentro vengono ben recepiti.


Russell è un regista che non amo, perché confusionario, pretenzioso ed eccessivo, in una parola kitch; eppure in questo film è perfetto. Il suo stile chiassoso si adatta perfettamente al mood e crea una regia ritmata e mai ferma, concentrata su colori essenziali e brillanti e con alcune invenzioni visive notevoli (su tutte il cubo nero al posto della testa del bambino, ma pure la vergine di ferro fatta di siringhe non è malvagia). Russell in questo film ha pure una fortuna, tutti gli eccessi o le cadute di stile (la cascata di fagioli e cioccolato che escono dalla tv; i pessimi effetti speciali quando Tommy corre; ecc…) sono facilmente imputabili agli anni ’70 e alle manie di quel decennio più che al cattivo gusto del regista.


In una parola, un filmone.


PS: credo che in questo film ci siano più camei che attori: Clapton fa il reverendo, Elton John il campione di flipper, Jack Nicholson lo specialista, Tina Turner la splendida acid queen, ecc…

sabato 19 febbraio 2011

L'australiano - Jerzy Skolimowski (1978)

(The shout)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un tizio vissuto per 18 anni nell'outback australiano ha imparato un po di trucchetti magici dagli aborigine, tra cui l'urlo che uccide. Installatosi in casa di un grigio ometto inglese nullafacente ne destabilizza la vita di coppi, seduce la moglie, destabilizza la salute psichica e ammazza un po di pecore. Per liberarsene, il grigio inglesucolo dovrà ricorrere anche lui alle arti magiche.

Film che vorrebbe essere profondo, esotico pur rimanendo in Inghilterra e oscuramente misterioso (o misteriosamente oscuro). Eppure tutto quello che ottiene è un grande senso di vacuità di trama e personaggi (perché nessuno lavora in questo film? Perché nessuno prende decisioni?) in salsa aborigina che fa sempre figo, con una certa cura nel rendere caotica la storia per farla sembrare più profonda.

Il risultato è dunque abbastanza noioso, interessante solo all’inizio, ma poi sempre meno conciso, si perde e perde il pubblico.

La regia però si lancia in parecchi inserti di sequenze già viste o ancora da vedere che rendono il tutto più confuso, ma che funzionano nel senso di straniamento e di connessione interna alla vicenda, più qualche decisione autoriale urlata in faccia allo spettatore (la scena in cui la moglie a quattro zampe imita il particolare del quadro di Bacon in bianco e nero più volte mostrato da vicino, e in quel momento tutta la scena diventa B/N). Più che un pessimo film, un’occasione completamente sprecata.

venerdì 18 febbraio 2011

Invito a cena con delitto - Robert Moore (1976)

(Murder by death)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un misterioso individuo (Truman Capote, lo scrittore, che assomiglia curiosamente ad un Malgioglio senza ciuffo) invita per un weekend i 5 migliori investigatori del mondo, ben presto si riveleranno i veri intenti, metterli in gara per vedere chi di loro sia il migliore.

Film all star che prende in giro i gialli classici, i 5 protagonisti infatti sono le evidenti caricature di Poirot, Miss Marple, Nick e Nora Charles della serie “L’uomo ombra", Charlie Chan e un misto fra Sam Spade e Philip Marlow.

Come dicevo un film all star in cui risaltano in particolar modo David Niven, splendido Nick Charles invecchiato, e Peter Falk nei panni di un perfetto Marlowe dalla dubbia identità sessuale.

Il film si prende la libertà di citare i libri d’origine, quanto i film (stupenda la conclusione proprio di Falk che cita “Acque del sud”), ne sfotte i meccanismi e le dinamiche tipiche, e tutto per prendersi una rivincita su quel genere (come si vedrà nel finale).

Un film realmente avvinazzato, condotto senza decisione da Robert Moore (e chi è?), e dal meccanismo abbastanza farraginoso (lo sceneggiatore si costringe a far reagire a turno tutti e 5 ai medesimi fatti, e la cosa diventa sempre più forzata e surreale), ma d’altra parte si tratta solo di un divertissement e come tale va preso, e come tale, diverte.

PS: il film è zeppo di giochi di parole (alcuni cretini) che vengono o completamente persi o resi 2 volte più cretini nella versione italiana.

giovedì 17 febbraio 2011

Il piacere e l'amore - Max Ophüls (1950)

(La ronde)

Visto in DVD.

Tratto da un’opera di Schnitzler il film segue dieci persone nei loro incontri amorosi che si susseguono li uni con gli altri in una sorta di staffetta del piacere.

Sorretto da un cast magnifico, la trama tende a mettere a nudo le ipocrisie, le false ingenuità ed i sotterfugi messi in atto per rendere decoroso l’atto sessuale, circondandolo di falsi affetti, falsi amori, false promesse e un girotondo di usi e costumi. Ironicamente poi sembra che tutti gli uomini siano indirettamente collegati da una serie di rapporti.

Su tutto però vince la forma e la regia.

La forma è sorretta da un deus ex machina invadente e onnipresente che conduce i giochi, spiega le relazioni e , manda avanti il girotondo. Questo deus si muove tra i personaggi e tra le scenografie smascherando le finzioni, compresa quella cinematografica. Stupendo l’inizio in cui il conduttore del gioco passeggia in un teatro di posa, davanti ad un palcoscenico e tra il set cinematografico cercando di spiegare che cosa rappresenti lui stesso (per non parlare della scena in cui tagli la bobina durante la scena d’amore tra l’attrice e il conte canticchiando la parola “censura”).

La regia è quella ophulsiana classica ormai sbocciata, con una serie di piani sequenza più o meno vertiginosi, ma tutti delicati abbastanza da risultare invisibili se non si presta attenzione. Ophüls disegna una serie di scenografie in base ai suoi movimenti di camera e non il contrario. Ogni storia poi presenta qualche particolarità stilistica, qualche tentativo di inquadratura originale; attraverso dei fori, attraverso dei tessuti, con inquadrature sghembe, con il paragone con le portate del ristorante, attori che guardano e parlano in camera, ecc…

Un film godibile sotto ogni punto di vista, che appaga anche chi cerca l’originalità.

mercoledì 16 febbraio 2011

Trauma - Dario Argento (1993)

(Id.)

Visto in DVD.

I genitori di Asia Argento vengono trovati decapitati. La ragazza è evidentemente sotto shock, è anoressica, e non riesce proprio a parlare un italiano comprensibile. Si interessa del caso un vignettista che si innamora di lei; si scoprirà che i genitori di lei, non sono gli unici ad aver perso la testa.

Argento in trasferta americana negli anni ’90 si ripulisce del tutto; elimina ogni eccesso formale e pure fa fuori o splatter (giusto qualche decapitazione viene mantenuta in memoria del passato, e per permettere le spassosissime scena in cui la testa separata dal corpo ancora parla). Le scene sono qualitativamente americane in tutto e la presenza del regista italiano è dimostrata dalla storia (sempre la stessa), dalle amate soggettive (dell’assassino mascherato e inguantato, oppure quelle decisamente migliori della farfalla!), dall’inquadratura che si rovescia, dal colpo di scena finale (teoricamente) evidente fin dall’inizio, e dalle sequenze disturbanti lasciate al bambino e al geco.

Un buon lavoro certamente, ma manca quello spirito innovativo degli inizi che, non essendo mai cambiato, dopo 20 di ripetizioni, comincia a diventare davvero troppo, troppo vecchio.

martedì 15 febbraio 2011

La bella maledetta - Leni Riefenstahl (1932)

(Das blaue licht)

Visto in DVD, in lingua originale con sottotitoli in italiano.

Sulle alpi altoatesine (curioso come chi parla italiano lo parla con accento tedesco, anche se chi ha di fronte è un tedesco e sarebbe più comodo parlare la lingua comune…) viene raccontata la storia di Junta (classico nome italiano), del Monte Cristallo e dell’amore tradito della ragazza per un pittore…

Primo film della Riefenstahl, e parte col botto, con una storia di una stupidità snervante. La regia, dal canto suo è ancora completamente legata al muto; in molte parti i personaggi non parlano ma agiscono come nei film senza sonoro, ma in generale il modo di rappresentare la vicenda, le azioni lunghe e reiterate e la recitazione sono ancora quelle del muto.

Il film annoia parecchio,la Riefenstahl confeziona una bella serie di sequenza da cartolina, ma nell’insieme non viene fuori una cosa organica e l’estetica spinta rimane fine a se stessa.

PS: la regista interpreta la bella e maledetta protagonista.

lunedì 14 febbraio 2011

Frantic - Harrison Ford (1988)

(Id.)

Visto in VHS.

Polanski realizza un nuovo incubo.

Una coppia normale in viaggio a Parigi per un convegno va subito in albergo, mentre il marito (che non parla una parola di francese) si fa la doccia, la moglie scompare. Nessun indizio. Zero… che farebbe una persona normale? Non lo so, ma Harrison Ford, cammina sui tetti, s’infila nudo nel letto della moglie del regista e vende attrezzi per azionare bombe atomiche ai nemici dell’America.

No, seriamente; un gran film. Un thriller di gente comune che ha a che fare con meccanismi immensamente più grandi solo per un terribile gioco del destino. Per una cazzata come una valigia sbagliata. Si insomma, un film alla Hitchcock.

E il bello è che il ritmo è perfetto, il protagonista anche credibile e il meccanismo funziona. Poi io preferisco la parte iniziale quando nulla si sa e tutto è ancora in alto mare, però è solo questione di gusti. Il film funziona come non mai e Polanski si dimostra uno dei più grandi registi di thriller di sempre.

domenica 13 febbraio 2011

Opera - Dario Argento (1987)

(Id.)

Visto in VHS.

Non sto qui a descrivere la storia, è sempre il solito serial killer che ammazza, solo che al posto di un beduino che si mette ad indagare per conto proprio, abbiamo una che si ritrova sempre in mezzo ai delitti e prova a sopravvivere.

Prima cosa complimenti ad Argento. La storia sarà implausibile e molto squinternata, ma almeno è entro i limiti della decenza, con una buona dose di sospensione dell’incredulità (e del buon gusto) la si può accettare (non come il terribile “Suspiria”). Il film per il resto è un concentrato dei leit motiv del regista, il gioco del whodunit (e ormai va detto, il gioco è usurato, si capisce subito chi è l’assassino, anche perché come al solito è the last man standing), l’assassino mascherato, il gore estremo (stupenda per idea e per pudicizia nella realizzazione, la scena dell’omicidio della costumista, mai così efferato e brutale), le soggettive dell’omicida (e ancora di più la soggettiva dei corvi dentro al teatro; da urlo!!), ecc. il tutto coronato da qualche idea in più, la già citata soggettiva degli uccelli, il metodo di “tortura” della protagonista costretta ad assistere agli omicidi con degli spilli negli occhi (ma anche l’idea in se di un assassino che vuole fare vedere tutto alla protagonista è magnifica), o il battito del cuore reso anche con il movimento della macchina da presa. Le cadute di stile non mancano di certo, dalla voice off assolutamente fuori luogo, o il finale alpestre veramente imbarazzante che sembra un video dei Rammstein con Heide come protagonista.

Comunque sia un film usuale del regista, che si ripulisce dagli accessi anni ’70 migliorando decisamente, senza rinunciare allo splatter.

sabato 12 febbraio 2011

E l'uomo creò Satana! - Stanley Kramer (1960)

(Inherit the wind)

Visto in VHS.

In un bigotto paesino del sud degli stati uniti un insegnante viene arrestato per aver insegnato l’evoluzionismo (e viene arrestato a ragione visto che citano una legge che viete di insegnare cose che vadano contro le sacre scritture, per carità legge sbagliata, ma tecnicamente il processo era praticamente inutile). Come avvoltoi arrivano subito giornalisti ed un paio di avvocati prima amici, ora dalle parti opposte della barricata, e cominciano una lotta all’ultimo sostantivo per difendere la tradizione bigotto-cristiana l’uno, e la libertà di pensiero l’altro.

Pesante e verboso legal movie che fa di un fatto idiota un caso mondiale senza rispettare le più ovvie regole di un processo (ho visto abbastanza film e telefilm per rendermi conto che gli avvocati si prendono, entrambi, troppe libertà). Per carità, le prime scene (prima del dibattimento), sono stupende, scritte dai migliori dialogisti di Hollywood e con aforismi cinici di prim’ordine (detti quasi tutti da un Gene Kelly credibile e incredibilmente nichilista)… poi arriva il processo vero e proprio, ed il film sbraga nel moralismo più scontato, nelle invocazioni alla libertà francamente eccessive e si dilunga in scene melodrammatiche senz’anima.

Abbastanza bravi gli interpreti, ma stupisce March, fighetto anni 30, declassato a macchietta anni ‘60 (comunque in parte).

Unica mozione completamente positiva la regia di Kramer, continuamente intenta in sinuosi carrelli laterali che portano a costruire le scene su più piani (arriva ad utilizzarne 3) senza bisogno di panfocus o altro artifizio. Bravo!

venerdì 11 febbraio 2011

L'imperatore del nord - Robert Aldrich (1973)

(Emperor of the North Pole)

Visto in VHS.

Durante la grande depressione molti senza tetto si muovono su treni merci per tutti gli Stati Uniti. Il migliore fra loro (chiamato numero uno), interpretato dal sempre figo Lee Marvine, sfida apertamente il più spietato capotreno (un inusualmente cattivo Borgnine). Tra i due si inserirà un parvenue che vorrebbe fregarli entrambi (povero scemo).

Solido film “di treni”, diretto con mano ferma e maschia da Aldrich, che non si fa sfuggire neanche mezza occasione per essere truculento e conclude il film con uno dei duelli più estremi del cinema (fatto con trave di legno, martello e catene a bordo di un vagone scoperto ed in movimento).

Il film è godibilissimo, non memorabile e penalizzato da dei personaggi un poco eccessivi, troppo caricati e macchiettistici. D’altra parte se a fare il Numero Uno ci si mette Lee Marvin, non gli si può negare il lusso di fare la solita parte iper-cool del più esperto nel suo campo; stupisce invece Borgnine, cattivo, spietato e convincente anche nei suoi eccessi, ma si sa, Borgnine sarebbe credibile anche a recitare la guida del telefono.

Un buon divertissement per passare un paio d’ore.

giovedì 10 febbraio 2011

Blue steel, Bersaglio mobile - Kathryn Bigelow (1989)

(Blue steel)

Visto in VHS.

Una poliziotta alla sua prima escursione nei bassifondi uccide un rapinatore, peccato che la pistola venga presa da uno dei presenti, uno yuppi un poco frustrato e (come si scoprirà più avanti) parecchio psicotico… lo yuppi tenterà (e riuscirà) a sedurre la poliziotta mentre comincia ad ammazzare accazzo in giro per la città. L’ancora bella Jamie Lee Curtis (la poliziotta) ci impiegherà una vita a capire come stanno le cose.

Film low budget di una Bigelow assolutamente imberbe. Crea delle buone atmosfere, ma la storia è banale ed idiota, e l’antagonista più inarrestabile del T-1000; era dai tempi della Chanson de Roland che un personaggio non durava tanto con tutte quelle pallottole in corpo…

E poi la regia onnivora della regista latita per tutto il film, e si limita a costruire scene che, nella migliore delle ipotesi, sono buone… ma le cadute di stile sono troppe (la scena dello stupro è una delle cose più grottesche che abbia visto nelle ultime settimane, e io guardo i tg tutti i giorni).

Un film solo per completasti (della Bigelow o della Curtis), sconsigliabile a chi vuole avvicinarsi alla regista per la prima volta.

mercoledì 9 febbraio 2011

Jack - Francis Ford Coppola (1996)

(Id.)

Visto in VHS.

Se ho criticato “L’uomo della pioggia”, chiedo scusa… se ho disprezzato Coppola per il suo episodio di “New york stories” me ne diaspiaccio… e se ho pensato che “Un'altra giovinezza” fosse un film totalmente fallito, mi rimangio tutto… questo è peggio.

Sapevo che sarebbe stata una vaccata, ma non pensavo che Coppola abbia goduto nello sputtanarsi il più possibile in poco tempo…

L’irritante Robin Williams (assolutamente senza freni, e lo dico in senso negativo) è un bambino di 10 anni (anche se sembra comportarsi più come un bambino di 5) con una malattia che lo fa invecchiare più velocemente degli altri, ma nonostante questo vuole vivere una vita piena lo stesso…

Mi irrito solo a scriverlo.

Beh tra un momento di demenziale stupidità (la sequenza nella casa sull’albero), un discorso alla “L’attimo fuggente” (il finale strappalacrime e non solo) e tanti momenti tesi tra l’inutile, il già visto e l’irritante, il regista si preoccupa soltanto di non farsi mai riconoscere dietro la macchina da presa (giusto i titoli di testa hanno un qualcosa che li fa apparire come se ci avessero pensato prima di farli), e Bill Cosby sembra essere stato assunto per rendere sopportabile la trama… ma ovviamente non ci riesce…

martedì 8 febbraio 2011

La casa dei matti - Andrej Sergeevič Michalkov-Konchalovskj (2002)

(Dom durakov)

Visto in DVD.

In un manicomio ai confini con la cecenia si svolgono le vite una manciata di matti, dei loro rapporti con i ribelli ceceni, prima, e con l’esercito russo, poi.

La cosa migliore di questo film è la fotografia sempre luminosa, e dai colori desaturati per il mondo reale, e più caldi ed intensi per il mondo di fantasie di Janna quando si immagina di suonare la fisarmonica… poi il resto del film si perde in una sorta di retorica facile, sia della malattia mentale (qui i matti sono i classici malati mentali cinematografici, praticamente normali, solo con qualche fissa in più e tanto, tanto, più sensibili), sia sulla guerra in Cecenia.

Se è vero che Konchalovskj cerca di soddisfare tutti quelli che potrebbero vedere il suo film, e se è vero che suo fratello, Nikita Michalkov, è un cerchiobottista della prima ora, bisogna ammettere che Andrej non ha la classe e la profondità del fratello nel dare ragione a tutti. Il film è noioso, e senza punti di interesse particolari.

lunedì 7 febbraio 2011

Il grande dittatore - Charles Chaplin (1940)

(The great dictator)

Registrato dalla tv.

Un giovane barbiere ebreo rimasto vittima di un incidente durante la I guerra mondiale (incidente avvenuto mentre salvava la vita di un futuro gerarca), torna alla sua bottega ignaro che nel periodo del suo ricovero un dittatore antisemita sia salito al potere, Adenoid Hynkel. Questo è un egocentrico senza qualità, ma assomiglia terribilmente a quell’insignificante barbiere… la storia ricalca quella dell’annessione dell’Austria ad opera della Germania, e proprio durante quest’annessione (dell’Ostria da parte della Tomania) i due protagonisti verranno scambiati l’uno per l’altro…

Divertente commedia di Chaplin che a distanza di tempo ha perso poco del suo humor originale. Le trovate del regista sono ancora oggi magnifiche e si esaltano nel personaggio di Hynkel, ogni volta che entra in scena l’ironia è garantita, ogni momento è da manuale, dal discorso ai microfoni, all’incontro con l’alleato/concorrente Napaloni (l’equivalente di Mussolini); anche se la mia parte preferita è la rappresentazione di una sua giornata tipica, fatta di scatti d’umore e fretta continua.

Il film rappresenta però qualcosa in più; una presa in giro, ma anche un atto d’accusa contro Hitler, che allora era si un dittatore antisemita, ma ancora non si immaginava esattamente cosa stesse succedendo entro i confini tedeschi. I momenti d’amore fra il barbiere e la ragazza, per fortuna pochi, sono per lo più banali, ma servono a rafforzare il finale. Quando il barbiere, nelle vesti di Hynkel sarà invitato a fare un discorso per l’annessione dell’Ostria, Chaplin sfodererà una certa dose di banalità, ma anche una dose maggiore d’ispirazione, infervorandosi in un discorso che, in alcuni pezzi, rappresenta il miglior manifesto del pacifismo, unendosi al discorso personale del barbiere per la ragazza lontana, e alle immagini di quella ragazza che guarda il cielo, il film raggiunge un momento di poesia unico, per forza espressiva e per significato, amplificato dal momento storico in cui è avvenuto.

Bravo Chaplin; la più divertente parodia di un dittatore/politico mai realizzata ed una presa di posizione personale su una questione (all’epoca) ancora aperta.

domenica 6 febbraio 2011

Il buco - Jacques Becker (1960)

(Le trou)

Visto in VHS.

Un altro film francese di fuga dal carcere più o meno dello stesso periodo di “Un condannato a morte è fuggito. Per pura fatalità li ho visti vicini e non riesco a considerarli separatamente…

Le due opere sono diametralmente opposte, solitaria, silenziosa e scarna l’altra, tutta costruita sui rapporti tra i 5 condannati la questa. Una fuga tutta cerebrale, pensata e preparata più che attuata la prima, un lavoro quasi improvvisato e tutto muscolare il secondo…

Fra i due preferisco la maggior inerenza alla realtà di questo film di Becker piuttosto che il sottile gioco metafisico di Bresson, anche se pure questo film non è scevro di difetti.

Becker si preoccupa di mostrare una fuga tutto sommato semplice in ogni dettaglio, mostrando ogni attimo di lavoro e rendendo la fatica dell’abbattimento di un muro in cemento come l’atto eroico di questi 5 carcerati; l’idea certamente funziona, ma esagera, rallenta molto il film, ma soprattutto rischia di annoiare; l senso sarebbe stato ben trasmesso anche con se il lavoro non fosse stato seguito quasi in tempo reale.

Il due finali poi risultano molto diversi, questo è terribilmente amaro e cinico, e francamente potente nella sua normalità. Assolutamente il film di fuga migliore mai realizzato, data la sua assoluta verosimiglianza.

sabato 5 febbraio 2011

Chi ha paura di Virginia Woolf? - Mike Nichols (1966)

(Who's afraid of Virginia Woolf?)

Visto in VHS.

Un professore universitario (Burton) sposato con la figlia del magnifico rettore (Taylor) sono una coppia cinica e disillusa in uno dei più intricati rapporti d’amore (poco) e odio (tanto) della storia del cinema; tutto sarebbe risolvibile nelle normali scaramucce domestiche, ma purtroppo due giovani appena trasferitisi vanno a trovarli. Inizia un devastante gioco al massacro reciproco, ampiamente condito di alcool (mai visto versare tanti bicchieri in un solo film!) che non risparmierà nessuno, anche perché a conti fatti nessuno è innocente e senza macchia.
Cinica e velenosissima opera prima di Nichols che si impegna con virtuosismi invisibili, inquadrature particolari, piccoli aggiustamenti di macchina, e alcuni dei suoi amati zoom, sempre al posto giusto (c’è una scena, quella nel dancing notturno, che mi ha ricordato violentemente lo stile di Corman). Non riesce a eliminare l’impianto teatrale del testo, ma almeno lo rende sopportabile quasi completamente.
Gli interpreti, inutile dirlo, sono eccellenti, misurati quando devono, eccessivi quando devono, perfetti con i loro ghigni disillusi e cattivi. L’intero film potrebbe essere riassunto con la prima inquadratura delle facce di Burton e della Taylor dopo i titoli di testa, entrambi sfatti, ma distrutto e affaticato lui, stizzita e rancorosa lei. Magnifici.
Però, ovviamente, il punto di forza di questo film è la sceneggiatura. Diciamolo subito, non è credibile, perché chiunque dopo due minuti in quella casa se ne sarebbe andato (e poi ci sono forse un paio di cadute di stile); ma i dialoghi sono perfetti, aggressivi anche quando vengono usati dei monosillabi, violenti anche nelle risate; giusto i monologhi sono un attimino verbosi, ma il ritmo non viene mai perso e il massacro procede con precisione chirurgica. Stupenda poi la costruzione di un mondo con un rapporto fra finzione e realtà assolutamente equilibrato in cui la credibilità dell’una è pari a quella dell’altra; una gabbia in cui i due vecchi leoni vogliono ostinatamente essere intrappolati, accettando le menzogne, anche evidenti, alla stregua di verità assodate.
Grande film; titanica opera prima.

venerdì 4 febbraio 2011

Giulietta degli spiriti - Federico Fellini (1965)

(Id.)

Visto in DVD.

Giulietta (la Masina), moglie perfetta dell’alta borghesia di Roma, scopre troppi indizi dei tradimenti del marito, anche se lui sembra sempre trovare una risposta a tutte le sue domande. La convinzione che l’adorato compagno di una vita le preferisca un’altra donna la porta però a cercare una razionalizzazione del suo dolore in guru, psicanalisti, religione, nell’aiuto di una vicina di casa (la Milo) che la vorrebbe introdurre alle gioie della carne, ecc… alla fine riuscirà a trovare una ragione di vivere nella solitudine.

Un Fellini atipico, molto intellettuale e metafisico, ma sempre visionario, come e più dei film precedenti.

Quest’opera poi, rappresenta il primo film a colori di fellini, e l’utilizzo di un’estetica kitch, con colori fondamentali alternativamente pastello o shocking da all’insieme un’atmosfera timburtoniana davvero originale.

Le incursioni oniriche e dei ricordi del personaggio nella vita reale sono quanto di meglio organizzato abbia visto nelle opere del regista, con una disposizione degli attori da pinacoteca ed una fantasia nelle fusioni davvero ragguardevole (le onnipresenti suore viola incappucciate o le fiamme della graticola ad esempio).

Come dicevo, un film atipico, meno semplice degli altri, più arzigogolato e, forse, pretenzioso… anche se alla fine, più che la complessità dei discorsi fatti, rimane il mood generale di un personaggio sofferente che cerca di resistere senza trovare appigli, ma anche senza dare mai segni visibili di cedimento… e poi rimane uno dei film più estetizzanti di Fellini… ecco, questo è quanto rimane; e non mi pare poco.

giovedì 3 febbraio 2011

Arianna - Billy Wilder (1957)

(Love in the afternoon)

Visto in dvx, in lingua originale con sottotitoli in inglese.

Uno dei film che più spezzano una lancia in favore dei vari bunga bunga nonostante la differenza d’età. Se è vero che la Hepburn non è minorenne, è comunque vero che Cooper potrebbe essere il suo sdentato nonnino, più che il suo focoso amante.

Comunque sia… la hepburn è la figlia di un investigatore privato (Chevalier), e per mettere una pezza sugli esiti di un’indagine del padre conosce (e salva la vita) a quel tombeur de femmes d’ospizio di Cooper. Com’è come non è, va a finire che lei se ne innamora pesantemente, mentre lei per lui non è che una delle tante. Per rendersi più interessante, lei finge una vita sentimentale piuttosto vispa e cerca di farlo ingelosire, ma quando finalmente anche lui sembra essersi innamorato si scopre la verità… Chevalier comprende e decide di non interferire, cerca solo di far capire a Cooper che non è il caso di giocare con una ragazza innamorata… di comune accordo gli amanti decidono di lasciarsi, ma ovviamente alla stazione dei treni si assisterà all’inevitabile happy ending.

Divertentissima commedia di Wilder del suo periodo d’oro (che va praticamente dagli anni 40 ai 60), che sa dosare con sapienza i sentimenti con l’ironia in un film sostanzialmente impeccabile. Tutti gli attori sono nella loro parte hollywoodiana classica, i comprimari sono sempre all’altezza della situazione (come sempre nei film di Wilder, si veda ad esempio il bravissimo McGiver nella parte del marito tradito) e lo spettatore non può che rimanere entusiasta dai duemila “tocchi alla Lubitsch” di cui il film è pieno, dalla stupenda scena del carrello del vino lanciato da Cooper all’orchestra, alla scena del treno finale, passando per tutti i momenti della vicina di camera col cane o delle situazioni in cui l’orchestra zingara compare in scena

mercoledì 2 febbraio 2011

La casa dalle ombre lunghe - Pete Walker (1983)

(House of the long shadows)

Visto in

Per pura fatalità vedo ora questo film, non particolarmente famoso e mi viene da iniziare dicendo che, La casa delle ombre lunghe è il “Le balene d’agosto” dell’horror di serie B.

Il film infatti beneficia della presenza contemporanea di (rullo di tamburi) Vincent Price (curiosamente presente anche ne “Le balene d’agosto), Peter Cushing e Christopher Lee. Tutti insieme, tutti in una parte particolare (che tenerezza vederli fare i fratelli), e tutti con un’entrata in scena fatta di ombre e luci ed un lento svelamento del volto che rende onore all’attore horror prima che al personaggio.

La storia non è esattamente magnifica, anche se il nocciolo centrale (classicissima storia di segreti di famiglia) è buono, ma eccede troppo nel corollario e nei reiterati colpi di scena, perdendo gran parte del significato. Ci sono pure alcune cadute di stile, ma tutto sommato la trama risulta decente.

È evidente però che si tratta di un pretesto per presentare al pubblico le 3 grandi star, un paio già invecchiate (Price che morirà meno di dieci anni dopo e Cushing al suo quartultimo film) e l’altra ormai alla fine della carriera nei film horror di serie B.

Come ho detto per “Le balene d’agosto”, più che un film, un evento, da vedere in una costante, e commossa, standing ovation.

martedì 1 febbraio 2011

Distretto 13: Le brigate della morte - John Carpenter (1976)

(Assault on Precinct 13 )

Visto in VHS.


Nel quartiere più peggiore di Los Angeles un uomo assiste all’assassinio della figlia, immediatamente ammazza l’assassino… che però purtroppo faceva parte della più peggiore banda di fuori di testa del più peggiore quartiere di Los Angeles. Trova rifugio in una centrale di polizia smobilizzata e praticamente vuota, in cui rimangono ancora un neo eletto ispettore, una guardia, due segretarie e un paio di carcerati che stavano venendo trasportati in prigione, ma hanno dovuto fermarsi, proprio li, pensa un po.


Il padre di famiglia, sanguinante e sconvolto non riesce a spiegare agli altri l’accaduto, ma riesce benissimo a trascinarsi dietro tutta la più peggiore banda che mette sotto assedio la stazione della polizia. E qui comincia il film vero e proprio. Nel bel mezzo di una delle città più popolose degli Stati Uniti, una manciata di persone lottano per sopravvivere senza che nessuno se ne renda conto. In inferiorità numerica, senza vie di fuga e con pochissime armi.

Uno dei migliori film d’assedio, costruito con spirito certosino da un Carpenter in stato di grazia, certo, ci mette diversi luoghi comuni nei personaggi, ma ci mette anche abbastanza ironia da farli dimenticare, e costruisce una macchina perfetta in cui tutto è verosimile, anche se eccessivo oltre ogni dire.

Un ottimo film che pecca tantissimo solo nel finale, troppo sbrigativo e troppo happy ending (anche se il body count è decisamente alto) per essere in linea con il resto della storia, ma la strafottenza e l’arroganza del regista ci sono ancora per intero (ad esempio non viene spiegato neppure alla fine perché il carcerato, viene chiamato Napoleone).