mercoledì 11 settembre 2013

Mammuth - Gustave de Kervern, Benoît Delépine (2010)

(Id.)

Visto in tv.

Un film radical chic, in cui un operaio, semplice, burbero, ma buonissimo, si mette in viaggio per trovare tutti ic certificati dei lavori precedenti per avere la pensione, durante il viaggio oltre a trovare se stesso (e ritrovare l’amore per sua moglie), incontrerà la nipote mai conosciuta (che ovviamente è una ragazza con un ritardo mentale che però si dimostra più creativa, libera e furba degli altri). Immagini sgranate, luminosità enorme e musichette allegre, ma rigorosamente indi. Ho già detto dei lunghi silenzi? Tutto questo fluire di luogo comunismi sarà interrotto solo da innumerevoli momenti di assurdità, spesso non spiegati. In altre parole un film da odiare 
subito…

E allora non mi spiego perché più passa il tempo più il film cresce. I momenti acquistano sfaccettature e dolcezze che prima non coglievo. La fotografia anni ’70 dimostra di essere l’unico modo in cui si poteva girare un film così delicato. Le citazioni continue, ma mai insistite, si collezionano nella memoria (il bagno di un pachidermico Depardieu in un ambiente preraffaelita; la masturbazione reciproca tra i due vecchi che ricorda tanto “Novecento”; la fuga in moto che cita e sfotte “Easy rider”; ecc…). I personaggi appaiono tutti (anche i secondari) come profondi caratteri rubati a Von Trier, ma messi in un mondo tutto sommato buono. I piccoli momenti di comicità surreale tornano in mente con piacere continuo (anche dove questa è agrodolce come nella telefonata del padre di famiglia in viaggio per lavoro). E il finale, così sfacciatamente banale e ruffiano, riempie di significato ogni cosa.

Un film da odiare che vorrei già rivedere. 

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