lunedì 18 novembre 2013

Le président - Jean-Pierre Bekolo (2013)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso), in lingua originale sottotitolato.

Il dittatore del Camerun, al governo da 40 anni improvvisamene scompare, i media locali tentano di seguirne le tracce, ma le segnalazioni sono troppe e le motivazioni sconosciute; nello stesso momento il film segue il presidente stesso, il suo peregrinare in cerca di un successore, gli incontri con un rapper e con il capo dell'opposizione fino allo showdown con la sua ex moglie.

Prima parlo dei difetti perché dopo potrei sembrare troppo entusiasta. Prima di tutto è un film esteticamente dozzinale, evidentemente low budget, anzi lower. Poi è un film a tesi, dove la tesi è urlata in faccia ogni 15 minuti circa, non proprio una buona partenza insomma. Inoltre il film ha un po' il limite delle produzioni low budget soprattutto per la fotografia e la recitazione di parte dal cast (i giornalisti), anche se la critica maggiore va fatta sulla verosimiglianza delle scene di fiction e la totale non credibilità dei tg e degli inviati che si vede stanno recitando. Inoltre, pur essendo un fil di 60 minuti, riesce ad essere rallentato dalla forma (che è anche il punto vincente), soprattutto all'inizio quando ancora deve ingranare. Ultimo neo i dialoghi, se tutto sommato si salvano quasi sempre, i giornalisti appaiono particolarmente vacui (ok era l'intento, però potevano essere comunque scritti meglio) e, soprattutto, il discorso del rapper Valsero dovrebbe essere un punto di svolta importante mostrando come un uomo del popolo (un artista però) sia molto più lucido del presidente, tuttavia il discorso è fumoso, vacuo, è evidente la veemenza positiva, ma non è chiarissimo il concetto al di la del fatto che tutto quello fatto dal dittatore fosse uno sbaglio. Ah già chioso solo sulla paraculaggine del finale dove come nuovo presidente viene "eletta" una donna...

Un film particolarissimo nella costruzione, non è un mockumentary tout court, ma neppure è solo fiction; è più dalle parti di un "La seconda guerra civile americana", anche nel mostrare l'umanità dietro ai "grandi" personaggi e ovviamente nello sfottere l'idiozia dei media. Tuttavia non è solo quello.
Il presidente è una figura ironica che si trova però a metà strada fra i dittatori di Sokurov e "Il posto delle fragole" (nessuno me ne voglia per i paragoni iperbolici), un uomo solo vittima del suo sistema (le guardie del corpo che vorrebbero ucciderlo) che ripercorre un percorso fisico che è soprattutto un viaggio psicologico (la strada che continuano a ripercorrere, l'ex moglie nel finale); il tutto, come si diceva diluito in una ironia leggera. Oddio non ci si aspetti un film profondo come quelli citati, qui siamo ci sono solo 60 minuti, li nomino solo per cercare di inquadrare il mood del film.

Inoltre è un film demagogico, ma girato in una dittatura, dunque il popolusmi diventa un atto di coraggio. Se a questo si somma il fatto che i discorsi spesso diretti sono realizzati in maniere sempre nuove (pensieri esposti con voci fuori campo, personaggi che parlano direttamente in camera durante false soggettive, tre momenti musicali dove il testo della canzone veicola concetti, dichiarazioni di comodo, il depistaggio involontario dei tg, ecc...), anche il logorante (e logorato) film di denuncia assume un fascino e delle possibilità nuove.

In poche parole, considerando la pesante opinione del regista che viene veicolata in ogni inquadratura, considerando che ne escono bene quei personaggi (il rapper) che non ci si aspetterebbe fossero più sul pezzo della classe politica, considerando la paraculaggine di certi momenti, la ricerca di linguaggi sempre diversi e il preciso intento di dire qualcosa al potere costituito mentre si cerca anche una sollevazione del popolo, questo è un po' un film alla Michael Moore, se Moore facesse mockumentary.

Interessante sottolineare l'ovvia censura avvenuta in Camerun; ma ancora più interessante il fatto che il Goethe Institut (che ha coprodotto) abbia poi rifiutato di distribuirlo in Germania e che ci siano stati problemi nel portarlo anche in Francia, tanto che il regista l'ha reso disponibile gratuitamente su una piattaforma on demand keniota.


Il film è stato anticipato da un corto "Accusé de reception" di Djibril Saliou Ndiaye. La storia è quella di un uomo in crisi economica che decide di scrivere a Dio, la lettera ovviamente si fermerà all'ufficio postale dove verrà aperta dal personale che deciderà di aiutare l'uomo; ma il protagonista troverà comunque il modo di lamentarsi ancora. Un filmetto senza qualità, girato in maniera minimamente dignitosa, co una lungaggine eccessiva per un corto del genere con una storia che al massimo si può definire carina. Il vero problema è che è un film senegalese; uno degli stati africani con più storia cinematografica alle spalle... ci si aspetterebbe di più...

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