martedì 31 dicembre 2013

L'uomo ombra - Russell Mulcahy (1994)

(The shadow)

Visto in Dvx.

Se si comincia a vedere un film aspettandosi una commedia gialla anni '30 ci si può ben immaginare lo sgomento (per usare un eufemismo) nel trovarsi di fronte ad un (incredibilmente) giovane, ma sempre (incredibilmente) inquietante, Alec Baldwin... soprattutto se lo si vede vestito nella versione carnevalesca anni '80 di un cinese...
La storia è quella del riccastro, Baldwin, negli anni '30 (vedi che comunque l'ambientazione era giusta!) che diventa un supereroe con le conoscenze della (sempre misteriosa) cina. Tornato a casa sconfigge criminali e diventa famoso, poi si innamora, un tizio con un qualche rapporto con Gengis Khan (l'ho già dimenticato) si fa spedire in america dentro un sarcofago e gli serve solo un minerale introvabile, un contenitore innovativo ed un'idea del tutto precoce per costruire una bomba atomica... toh guarda minerale, contenitore e l'unico scienziato che può assemblare il tutto si trovano tutti li e hanno tutti un (recente) legame con Baldwin.

Film che rappresenta la quintessenza degli anni '90, con scenografie pantagrueliche tutte realizzate senza computer (con quel misto di veridicità e palese costruzione in cartone); l'oriente come luogo di fuga/rifugio/ritrovamento di se stessi/assimilazioni tecniche innovative per muovere oggetti o diventare ombre; uso inesperto della CGI (ma comunque decente); attori di richiamo in prima battuta e una squadra di attori bravissimi nelle retrovia; infine un'idea di trasposizione da un fumetto molto... fumettosa, kitsch, si insomma post Tim Burton.

In questo tripudio di soldi spesi, c'è un (sempre) poco credibile Baldwin come protagonista, che quando si traveste diventa ancora meno credibile; c'è una storia patetica (la bomba atomica?!!) e poco interessante che si segue a forza; un ritmo da commedia di se stessa, da film che vuole scherzare con un genere che ancora non si è formato del tutto rendendo solo meno credibile il tutto; come già detto tanti attori ottimi usati malissimo. In definitiva, un campionario orrendo di quello che si poteva fare in quei gloriosi anni avendo i soldi, ma non avendo Spielberg.

venerdì 27 dicembre 2013

Lo hobbit: La desolazione di Smaug - Peter Jackson (2013)

(The Hobbit: the desolation of Smaug)

Visto al cinema, in 3D... ed in HFR.

Il seguito dell'esile racconto del primo capitolo non poteva essere che più esile del primo; vengono introdotti gli elfi che danno il destro a Jackson per inserirci un Legolas truffaldino e pure una storia d'amore interrazziale. Per il resto è il solito film d'azione dalla terra di mezzo con fughe e agguati. In più vanno annoverati una serie di riferimenti sempre più pressanti verso la trilogia de "Il signore degli anelli" che, per chi non la conosce (a parte mia mamma, alzi la mano chi non conosce Il signore degli anelli), diventa difficile capire diversi momenti di tensione (tutto quello che circonda l'anello e il negromante ovviamente).

Spero di non aver dato l'impressione di non aver apprezzato; perchè questo è un bel film. Se il primo della trilogia era una cavalcata forsennata senza un attimo di tregua qui, quell'eterno romanticone di Jackson, con l'introduzione degli elfi rallenta il ritmo, si dedica alla costruzione di un'inutile cornice romantica per acchiappare una fetta di pubblico che non era fondamentale acchiappare e solo a tratti accelera come sa fare lui. Si l'elfa che insegue i nani io l'avrei abolita, mentre Legolas, per quanto inutile, non è dannoso ai fine del racconto. Detto ciò l'opera riesce comunque a creare un paio di scene da urlo (su tutte la fuga nel torrente dentro i barili che voto come miglior scena d'azione in CGI dopo quella di Tintin); ma soprattutto ha un enorme asso nella manica: Smaug...
Pare che Jackson abbia affermato che i 10 anni trascorsi fra il signore degli anelli e questa seconda trilogia siano stati, in parte dovuti, alla costruzione degli scenari e alle location... cazzata ovviamente visto che aveva tutto pronto dai film precedenti; in tutti questi anni sono stati in Papua Nuova Guinea a cercare un drago vero (e qualche mese devono averlo impiegato ad insegnargli l'inglese con la pronuncia di Cumberbatch). Smaug è la vera, grande, idea di questo film; un drago praticamente vero, con movimenti incredibili e fuso (ad un certo punto letteralmente) con il tesoro di cui è a guardia; quando c'è, riempie la scena (non solo con la stazza) e Jackson lo utilizza in lunghe sequenze (di per se inutili) che sono solo un catalogo di delizie per gli occhi (il già citato momento in cui viene investito dall'oro fuso...). Applausi.

Detto ciò il 3D; non è vitale, come al solito, permette qualche buon momento con le cose che ti volano addosso, ma soprattutto riesce a definire meglio i dettagli in 2 (dico 2) scene; poi Jackson è bravo e riesce a sfruttarlo pure nella foresta per creare scene a più piani... però in definitiva è, e rimane, ancora lo stesso inutile tentativo di portare gente al cinema già fatto negli anni '50.
Detto ciò l'HFR (i 48 frame al posto del 24 canonici)... Massi in diversi momenti c'è un'impressione di iperrealtà... Massi in diversi momenti si sfonda la quarta parete e si vede che la location è finta... però più un impressione (forse un effetto placebo) che con l'andare avanti del film neppure si nota più...

mercoledì 25 dicembre 2013

Blue Jasmine - Woody Allen (2013)

(Id.)

Visto al cinema.

Una ricca borghese di New York, moglie di un intrallazzatore d'affare di dubbia legalità che spesso usava il suo nome, crolla, dopo l'arresto del marito. Il figliastro fugge e lei deve recuperare un lavoro e delle relazioni facendosi, intanto, ospitare dalla sorella a San Francisco. La sorellastra ad essere più esatti, una sorellastra di ceto medio/basso e di cui condividono ben poco.

Un film carino... Una storia dal passo classico; il sapore è quello di una tragedia greca, la si vede nel caso come elemento conducente la storia, lo si vede nella follia risolutiva della storia, lo si vede nel dover scontare le pene spesso dovute ad altro. Affascinante inoltre la costante impossibilità di mutare; nessun personaggio evolve e nessun evento (alla fine) subisce una modificazione strutturale. Le vere differenze si vedono solo nel rapporto continuo fra il presente e i flashback. Interessante inoltre il fatto che (nelle scene finali) si capisce chiaramente che le vittime sono le inconsapevoli carnefici e viceversa.
Altro motivo per cui vedere il film (anzi, Il vero motivo per vederlo almeno una volta nella vita) è la perfetta interpretazione della Blanchett; la sua miglior prova e una delle migliori in generale. La Blanchett è un'affascinante borghese piena di stile quando deve esserle; ma è anche una psicotica sfatta e con le occhiaie quando le viene richiesto... Non recita mai, lei è il personaggio che interpreta; credo che sia rimasta sveglia di notte e si sia ubriacata realmente per le scene di follia. Impeccabile.

Purtroppo il film di per se è solo carino... Non c'è ritmo che sostenga il tutto oltre la metà; le scene si dipanano ripetitive, alcune volte completamente inutili, in altri casi semplicemente troppo lunghe. la storia, molto alla Allen, affoga i vari punti di itneresse.

lunedì 23 dicembre 2013

Vittime di guerra - Brian De Palma (1989)

(Casualities of war)

Visto in tv.

Vietnam, durante un’azione un gruppo di soldati rapiscono una ragazza, la violentano a turno e la uccidono. Questa decisione non è un impulso del momento, ma un piano attuato per vendetta. Tutti si sottomettono alla legge del branco, tranne Michael J. Fox, che si rifiuta e, una volta tornato, chiede come deve comportarsi ai superiori e agli amici. Dopo essere stato vittima di un attentato deciderà di denunciare il tutto…
Un film dalla fotografia chiara e pulita, pure troppo per un film di guerra che fa da sfondo ad una storia prevedibile, buonista e senza nerbo che a stento si fa seguire senza noia o senza ripetuti andirivieni dalla tv alla cucina (tanto già si sa cosa sta per succedere). Se a questo ci si aggiunge un De Palma particolarmente poco ispirato (diverse soggettiva, uno split screen e qualche inquadratura interessante sono poca cosa per chi ci ha abituati a tonnellate di autorialismo, anche kitsch, in ogni fotogramma) direi che il film ha poco appeal. Michale J. Fox ha anche l’aspetto meno adatto a fare il soldato duro e integerrimo.
PS: un cast di futuri grandi (o anche solo buoni) attori ragguardevole, al casting c'avevano visto giusto.

venerdì 20 dicembre 2013

Le dernier combat - Luc Besson (1983)

(Id.)

Visto in DVD.
In un futuro post apocalittico dove sembrano scomparse tutte le donne e gli uomini rimasti non parlano più; un ragazzo fugge con un ultraleggero da una banda locale e si rifugia presso un vecchio medico che nasconde un esemplare femminile... Verranno però attaccati da un Jean Reno medievale e cattivo.
Primo di Besson e, tra i suoi pochi film che ho visto finora, è anche il migliore.
Una fotografia splendida incornicia paesaggi perfetti per rendere il clima del film. Una scelta di sottrazione che lavora sul bianco e nero e, ancora di più, sull’espressiva mancanza di dialoghi.
Più che un film è una prova, estremizzata dalle limitazione autoimposte (e semplificata dal non dover scrivere dialoghi interessanti); la storiella esile è però ben sostenuta da tutto l’apparato estetico, da un ottimo ritmo (fatta salva per la parte iniziale in cui il film deve introdurre), da un’espressività sorprendente e dalle ottime prove del cast muto e spesso inespressivo (e nonostante questo impeccabile).
Inizia qui il sodalizio con Jean Reno.

mercoledì 18 dicembre 2013

I soliti sospetti - Bryan Singer (1995)

(The usual suspects)

Visto in DVD.

La prima volta che lo vidi (un decennio fa), già sapevo tutto della storia; tutto sommato lo apprezzai. Oggi che lo rivedo di nuovo, ovviamente so già tutto quello che non bisogna sapere; eppure rimane un film eccezionale.
La trama è quella di un noir moderno, fatto di un gruppo di criminali assodati da un misterioso narcotrafficante efferato e onnipresente. Di più si potrebbe dire, ma fino ad un certo punto, perché il finale è tutto.
Film eccellente che parte con il freno a mano tirato, sembra pretenzioso, lentuccio e non particolarmente interessante, ma probabilmente è tutto un piano preciso, perché il ritmo è un continuo crescendo fino al finalone dove si rimane col fiato sospeso per almeno 10-15 minuti consecutivi. Alcune idee di messa in scena interessanti permettono la creazione di qualche icona pop (il confronto al’americana dell’inzio, perfetto come immagine di copertina) e di molte immagini affascinanti (ancora una volta queste idee aumentano con il progredire della storia).
Il film si appoggia poi ad un cast più lungimirante che affermato. L’unico attore che all’epoca era già noto è Gabriel Byrne (oggi ingiustamente il più sconosciuto del gruppo), ma si avvale di un Del Toro che si sta allenando a fare il Dr. Gonzo; più ovviamente di un Kevin Spacey che vinse un oscar per questa interpretazione.
Detto ciò torno di nuovo sul finale. Il copo di scena è una parte fondamentale, ma oggigiorno l’internet è pieno di spoiler; anche in mancanza dell’effetto sorpresa il gioco fatto di sovrapposizione di voci fuori campo e flashback, il continuo montaggio parallelo di scene distanti, alcune scelte precise nelle inquadratura che non starò a citare, infine il già citato ritmo e l’idea di iniziare il finale con la vera scena madre del film; ecco tutto questo è un lavoro certamente paraculo, ma estremamente efficace e d’effetto che non può non essere apprezzato. Bellissimo.

lunedì 16 dicembre 2013

Spiral - Adam Green, Joel David Moore (2007)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato

Un ragazzo con un enorme problema di ansia e di socialità vivacchia lavorando in un ufficio asettico dove il suo unico amico è il suo superiore. Tra crisi superate a fatica  pranzi in solitudine tira avanti. Un giorno compare una ragazza che sembra interessarsi a lui, dapprima solo per amicizia, poi da cosa nasce cosa… ma la psicosi del protagonista riuscirà essere trattenuta solo fino ad un certo punto.
Film di Green in coppia con il protagonista Moore, esteticamente impeccabile; fotografia perfetta, fredda e distaccata, luci gelide e tutto il corredo di costumi e location di conseguenza.
Detto ciò, per il resto, è un film fatto tutto di faccette da pazzo, autismo, monosillabi bofonchiati, arte nell’accezione più snob; in una parola un’idea di plot piuttosto banale che gioca fra la realtà e la finzione fin dall’inizio in maniera sfacciata; a tal punto che fin dall’inizio ci si chiede quale delle due ipotesi più ovvie si sceglierà per il finale… la cosa buffa è che alla fine vengono scelte entrambe. Complessivamente esagerato nell’interpretazione e nella storia, oltreché nella regia…
La regia non è originale, ma ravana nel già visto nel genere horror con la sapienza di chi ci prova a costruire un buon prodotto; niente di fenomenale, ma giochi di fuoco e fuori fuoco, macchine a mano, dettagli del protagonista, vengono usati quando servono, ma anche quando francamente se ne potrebbe fare a meno. Un ritmo un poco fiacco conclude il tutto.
In una parola; non è il film che ti cambia la serata, ma la fa passare bene.

venerdì 13 dicembre 2013

Onibaba, Le assassine - Kaneto Shindo (1964) Jitsuko Yoshimura

(Onibaba)

Visto in DVD, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Giappone medievale. Durante una guerra che decima gli uomini, in mezzo alla campagna vivono una suocera e la nuora. In una terra dove manca il cibo, i mezzi e le persone, vivono uccidendo e derubando i passanti. Un giorno torna l’amico del figlio dell’anziana (quindi marito della giovane) che le avverte della morte del loro parente; la figlia inizia una relazione sessuale con l’uomo. La suocera non riesce a sopportarlo e, derubato un nobile della sua maschera da demone, si finge un diavolo per spaventare la giovane; ma la maschera rimarrà attaccata al volto.
Mi era stato venduto anche come un film horror; in realtà è un dramma, al massimo un dramma allegorico. In ogni caso è un gran dramma. Tratto da una fiaba giapponese se ci si fermasse alla sinossi nessuno avrebbe voglia di guardarlo; ma la messa in scena vince su tutto.
Un bianco e nero che alla (poca) luce del sole risulta chiaro e pulito proprio come nel precedente “L’isola nuda” (per fortuna con quel film ha in comune solo questo e una certa attitudine ai silenzi). La regia costruisce un dramma da camera essendo tutto girato in interni… beh spieghiamola meglio, almeno metà film è girato all’interno delle capanne (o nel buco nel terreno), ma anche gli esterni sono di fatto chiusi da palpabili muri di tenebre o dagli onnipresenti giunchi, tanto da rendere claustrofobica ogni inquadratura e costruendo ogni scena su più piani per poter mostrare anche lo sfondo pieno di canne e le foglie in primissimo piano. Poi c’è tutto un lavoro sui volti; il cast azzeccatissimo viene esaltato da un serie di primissimi piani e dettagli degli occhi che definirei alla Leone se questo film e la prima opera del regista italiano non fossero contemporanei; inoltre sui visi è costante la presenza di ombre espressioniste che rendono ogni smorfia un ghigno terribile. C’è altro? Beh direi una certa mobilità di camera e un uso della profondità che permettono diversi giochi di prospettiva e un finale estetizzante che inanella una serie di sequenze impressionanti.
Non fa paura, non è questo lo scopo, mostra invece un’umanità animalizzata che si muove per istinti primari utilizzandosi a vicenda per il proprio benessere.

mercoledì 11 dicembre 2013

Il mio nuovo strano fidanzato - Dominic Harari, Teresa Pelegri (2004)

(Seres queridos)

Visto in tv.

Lei ebrea, lui palestinese, sono fidanzati e hanno deciso di andare a cena con la famiglia di lei, che ancora non sa che lui è islamico. Questo in realtà sembra un problema secondario se confrontato con la famiglia che li dovrà accogliere, matriarca sotto stress con marito (forse) traditore, un fratello da poco ortodosso e una sorella ninfomane con figlia (problematica) a carico… La serata non andrà come previsto. Ah già c’è pure un nonno cieco e un anatroccolo randagio a chiudere il cast.
Commedia degli equivoci spagnola ad altissimo ritmo (per tutta la prima metà almeno) che per gestione dei tempi, efficacia delle battute (alcune sono usurate, come il gioco con l’anziano non vedente, ma complessivamente il film diverte nella prima parte) e fotografia dai colori brillanti deve tutto alle prime opere di Almodovar. Certo i temi e i colori sono comunque più castigati dell’originale (ah beh e le scelte di regia non sono neppure paragonabili).
Il tutto si distacca dal classico per l’introduzione del rapporto di convivenza fra le due entie nemiche per eccellenza; anche se la cosa è comunque un sotterfugio che viene rapidamente messo in secondo piano.
Nella seconda metà (l’arrivo del personaggio del padre smemorato e le scene in ufficio) il ritmo cala, la sospensione dell’incredulità (già messa a dura prova) vacilla e complessivamente il gioco si rompe del tutto nel finale irrisolto, frettoloso e gaio per niente.
In definitiva un buon film con alcuni difetti, che se rappresentasse la commedia media spagnola allora la cinematografia iberica sarebbe una delle migliori al mondo.
Ah già, non l’ho detto, tutto (e sottolineo tutto) il cast è assolutamente in parte, credibile e divertente.
PS: assicuro che la locandina italiana è terribilmente fuorviante.

lunedì 9 dicembre 2013

Ladri di cadeveri, Burke & Hare - John Landis (2010)

(Burke & Hare)

Visto in Dvx.


Una coppia di sbandati dell'Edimburgo dell’ottocento scopre che alla facoltà di anatomia pagano per avere cadaveri freschi. Inizieranno a cercarne tra gli anziani, poi nei cimiteri, infine inizieranno ad uccidere.

Landis ci prova, si impegna in un film difficile e, a mio avviso, riesce solo a metà. Riesce nella parte più difficile del compito; mischiare lo splatter, il dramma ed il nero alla commedia più riuscita. Unisce le due componenti perfettamente tanto da rendere simpatici due personaggi che uccidono per denaro in maniera estremamente fredda (anche se buffa). Il mix riesce e perde qualcosa solo per le batutte non riuscite; ce la fa anche ad inserire una storia d’amore come volano della vicenda e ad ammantare tutto di un (falso) romanticismo.

Però il film mi risulta riuscito a metà… a metà perché il film è di un distacco spaventoso; si ride dei personaggi, ma non si empatizza praticamente mai; il film si perde a mostrare mille dettagli (tra cui alcune patetiche idee come mostrare la nascita della fotografia) e non riesce ad andare oltre all'intrattenimento che si dimentica velocemente.

Splendido un Serkis incredibilmente in live action; si mangia tutti gli altri in maniera imbarazzante.

venerdì 6 dicembre 2013

The mission - Johnnie To (1999)

(Cheung fo)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Un gruppo di criminali viene assoldato per difendere un boss locale da una serie di attentai omicidi. Riusciranno a salvargli la vita in diverse occasioni e a scoprire chi e perché sta cercando di farlo fuori… ma proprio quando tutto sembra essersi concluso il boss incarica uno dei criminale per ucciderne un altro per avergli tampinato la moglie. Si formerà un gioco ad inseguirsi in cui il gruppo si sfalderà per ricomporsi nuovamente.

C’è tutto il Johnnie To che consociamo dall'ambiente metropolitano all'amicizia virile, dalle sparatorie ad alta tensione alle (continue) scene attorno ad una tavola. C’è tutto, ma è tutto un poco sottotono.

La storia è fantastica, ma è un poco lasciata a se stessa, i rapporti fra i personaggi vengono detti più che essere suggeriti dai fatti e chi guarda deve solo fidarsi. Le scene di convivialità o di intermezzo sono quantomeno poco sfruttate. Il vero punto di forza (come sempre in To) sono le sparatorie. Niente di enorme, ma le diverse scene all'interno del centro commerciale sono un buon motivo per guardarsi il film.

mercoledì 4 dicembre 2013

Reefer madness - Louis J. Gasnier (1936)

(AKA Tell your children)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolata.

Film propagandistico anti marijuana degli anni ’30. Ha agguantato lo status di film cult negli anni ‘60/’70 quando nei college gruppi di giovani consumatori si riunivano per sfotterlo.
La storia inizia come un documentario su un preside che avverte dei genitori molto interessati di questa nuova piaga, nel parlare racconta la storia di due ragazzi (e qui inizia il film vero) che presi dal circuito della droga (un circuito molto pulito e perbene a dire il vero, sembrano incontri di preghiera con musica da ballo) arriveranno all'omicidio! Si conclude con la classica invocazione con sguardo fisso nella macchiando presa.
 
Di fatto il film è imbarazzante per l’ingenuità estrema (madre e figlia parlano di un ragazzo  madre“sono sicura che quel ragazzo non ha mai detto bugie”, figlia “È vero, sua madre dice che non ha mai mentito”, madre “Visto? che ti dicevo?!”). A livello puramente tecnico non c’è nulla di ragguardevole tranne un paio di inquadrature del pazzo alla fine. dal punto di vista documentaristico è esilarante in più punti. La versione colorizzata (quella che ho visto io) ha il valore aggiunto di colorare il fumo che esce dalla bocca dei personaggi di colore diverso in relazione a chi fuma.
Di fatto, oggigiorno, un divertissement.

lunedì 2 dicembre 2013

Machete kills - Robert Rodriguez (2013)

(Id.)

Visto al cinema.

Come già in molti hanno sottolineato, l’idea di una serie di film come Machete è giustissima, un po per Danny Trejo che si merita tutte le limonate che la trama gli concede, un po’ perché una parodia di quel cinema anni ’70 che già si prendeva poco sul serio può essere una gran cosa.
Purtroppo sembra che Rodríguez non sia interessato a fare un buon film. Il primo capitolo (quello raffazzonato sulle immagini presente nel falso trailer) l’ha lasciato a qualcun altro con un risultato al di sotto delle (mie) aspettative; per questo secondo capitolo si mette in campo direttamente, ma solo per ottenere un risultato di molto inferiore.
Certo ha 2.000 idee; caricature di topos anni ’70, mix di trashate e trovate che alzino il limite della decenza e in più ricicla pure qualche cosa dai suoi film precedenti. In tutto questo però ci mette tutta la svogliatezza possibile, accumula dee cazzare senza legarlo, motivarle o farle per bene, ci mette qualche lunga sequenza di spiegazioni enorme e lenta; decide ad un ceto punto che val la pena cambiare genere e ci infila un finale sci-fi tanto pretestuoso quanto assurdo e confeziona un prodotto che quelli della Asylum rifiuterebbero (loro fanno cagate perché i mezzi e/o tempi sono limitati; Rodriguez fa cagate perché è rimasto un ragazzino delle medie che ride quando sente dire la parola “tette”; e i più non c’ha voglia).
Mette insieme una carrellata di personaggi che riduce a soprammobili dando a tutti 3 minuti di scene (i più fortunati hanno pure una battuta) e poi li fa scomparire (qualche volta motivandone la scomparsa).
Vuole fare tutto, ma non vuole impegnarsi, vuole ottenere un film grandioso ma poi anche il CGI che mette in campo è a tirar via (non è che utilizzando effetti speciali squallidi dai l’idea degli anni ’70, ma dai solo un’idea di sciatteria), le scene d’azione… non ne ricordo una meritevole… beh a questo punto fai anche a meno di cominciare a girare.
Che poi quello che più da fastidio è che volendo le basi per ottenere qualcosa c’erano. Il personaggio del camaleonte era buono, l’idea di fare una sorta di “Fuga da New York” in Messico è molto buona, un cast notevole (Mel Gibson! E poi una Lady Gaga che meritava più minutaggio e un Banderas nel suo miglior personaggio da anni a questa parte) e poi Danny Trejo che da solo porta già in un clima anni ‘70 da far paura. Ecco, hai tutto questo e poi decidi di buttarla in caciare perché oggi sei stanco e comunque se dici “tette” poi si ride tutti assieme…