venerdì 8 agosto 2014

La jetée - Chris Marker (1962)

(Id.)

Visto qui.

Un uomo abita in una Parigi postapocalittica dove gli uomini sono costretti a stare nel sottosuolo per le radiazioni; lui ha un solo ricordo chiaro del passato, di quando da bambino si trovava all'aeroporto di Orly. Per riuscire ad avere supplementazioni di energia, ma anche cibo, gli scienziati stanno testando i viaggi nel tempo, ma sono viaggi incredibilmente sconvolgenti e utilizzano solo persone con un chiaro ricordo del passato per poterli inviare in quel periodo. Ovviamente il protagonista sarà scelto, incontrerà una donna (di cui ricordava il volto), se ne innamorerà; ma una volta abituato ai viaggi nel tempo verrà mandato nel futuro per avere un aiuto dai proprio pronipoti... il finale è assolutamente a sorpresa.

Film (cortometraggio) estremamente ben costruito nella trama che però si fa ricordare per la realizzazione. Tutto il film è una sequenza di immagini fisse, di foto; e tutta la storia è raccontata da una voce fuori campo. Direi che sulla carta avrebbe tutti i motivi per essere disprezzato (almeno da me).
Invece il film regge magnificamente; per due pregi essenziali.
Il primo è la storia, l'ho già detto, ma merita di essere sottolineato; la trama è molto breve, ma ben costruita, drammaticissima e senza speranza con quel senso di leggera ineluttabilità dei film francesi dell'epoca.
La seconda è che un film non è fatto solo di movimenti di macchina da presa, ma di luci ed ombre, di inquadrature diverse e di montaggio; e tutte queste parti di un film ci sono e sono anche notevoli. Le luci sono intense quanto le ombre, un sistema facile, ma espressivo; le inquadrature sono multiple per le stesse scene e mai banale; ma è il montaggio che vince, accelera o rallenta il ritmo a piacere e crea effetti magnifici (su tutte la sequenza della donna a letto che con una serie di foto in rapida successione con gesti simili e con una dissolvenza continua crea un effetto simile al movimenti, ma più leggero, dolce e luminoso).
L'unico dettaglio che continuo a non sopportare è la voce fuori campo; lo ammetto qui era necessaria, ma comunque odiosa.

Un esperimento interessante che, giustamente, ha avuto la sua versione cinematograficamente più canonica un trentennio dopo.

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