venerdì 30 gennaio 2015

You don't know Jack, Il Dottor Morte - Barry Levinson (2010)

(You don't know Jack)

Visto in Dvx.

La vita di Jack Kevorkian, il medico americano che effettuò oltre 100 eutanasie (anche se tecnicamente permetteva alle persone di suicidarsi con metodi non dolorosi) su pazienti terminali e che lottò attivamente (in tribunale come nei media) per rendere completamente legale l'eutanasia e il suicidio assistito.

Se è vero che da anni la televisione (negli Stati Uniti e in Inghilterra soprattutto) ha alzato la qualità media delle serie (il recente "True detective" già dice tutto) e dei film tv prodotti, è anche vero che è la HBO a dettare il passo e a produrre (o solo a trasmettere) alcuni dei prodotti più interessanti. Nel campo dei film tv, i migliori (o i più intriganti) degli ultimi anni (penso ad RKO 281, Angels in America, Game change, Dietro ai candelabri, ecc...) vengono tutti da li; non tutti sono capolavori, ma tutti sono interessanti e tutti hanno un grande cast e budget invidiabili.

Detto ciò, questo è una di quelle produzioni. Un film tv girato da Dio (per gli standard televisivi) in colori delicati, macchina da presa che si sofferma a cogliere le luci soffuse sullo sfondo, che insiste nei volti dei personaggi; niente di epocale, ma una confezione ottima e delicata come vorrebbe essere la trama.
La storia è sorretta da un cast bellissimo, con una paio di nomi grossi infilati in parti secondarie (la Sarandon poco utilizzata, ma con un personaggio ben caratterizzato, Goodman colpevolmente troppo sullo sfondo, anche solo per un personaggio bello, ma piatto), una serie di comprimari all'altezza dell'obiettivo, ma soprattutto un Pacino in grandissima forma, invecchiato, anaffettivo, freddo, tagliente e deciso, praticamente irriconoscibile, praticamente una delle sue migliori interpretazioni da diversi anni.

Unica pecca è la storia. Ovvio che la trama parteggi per il protagonista, ovvio lo spingere sull'emotività, ovvio anche il dover far stare spunti diversi in un tempo limitato (la difficoltà di rendere una vita sullo schermo è proprio in questo), però il lavoro è fatto male. Si concentra sulla lotta a favore dell'eutanasia e scegli, per farlo, un tempo piuttosto lungo, dalla sua prima morte assistita al suo ultimo scontro in tribunale; nel mezzo però ci infila troppi spunti, diverse facce che vorrebbero rendere bene il personaggio, ma che alla fine portano via tempo al resto (la mostra dei suoi quadri, attitudine quella della pittura appena accennata in una scena precedente; il rapporto con la sorella risolto con uno spalleggiarsi mai spiegato e in una litigata; il rapporto con Goodman, sostanzialmente utile solo a mettere un altro nome importante di fianco a quello di Pacino; il personaggio della Sarandon, buono solo per far morire una persona vicina al protagonista); il risultato è quindi quello di dover accelerare sulle sequenze finali.
Con qualche decisione in più nella scrittura del plot si avrebbe avuto un film tv perfetto; al momento ci accontentiamo di un film tv molto bello.

mercoledì 28 gennaio 2015

Il leone d'inverno - Anthony Harvey (1968)

(The lion in winter)

Visto in Dvx.

Re Enrico II deve decidere a quale dei suoi tre figli lasciare il regno dopo la sua morte, due li odio (e ne è odiato di rimando) il terzo è un idiota. Organizza quindi un Natale in famiglia, con i tre successori e la moglie (da anni reclusa in un castello in Inghilterra) per discutere (e litigare) sulla successione.

Opera teatrale magnifica, dall'andamento forsennato e dallo stampo sulfureo, un gioco di intrighi di palazzo continui, spesso poco chiari, ma sempre piuttosto aggressivi e dolorosi per una delle parti in gioco. Un film fatto di lunghi duelli verbali (non dialoghi; dire che quelli sono dialoghi è un eufemismo) e di prove di recitazione sopra le righe.
La coppia di attori protagonisti è da applausi a priori, un O'Toole e una Hepburn che litigano per stabilire chi dei due riesce ad essere più estremo senza scadere nel macchiettistico. Tra i figli c'è un giovane e oscuro Hopkins già bravo anche se, forse, un pò troppo carico.
Ovviamente la regia si appoggia tutta sugli attori (e non potrebbe fare altrimenti), indugiando sui volti e sui gesti più che sui luoghi.

Risulta evidente fin dall'inizio che il film può finire solo con una tragedia o con un nulla di fatto; ma la scena finale del saluto tra i due protagonisti mi sembra rivelatrice, alla fine si è trattato solo di un gioco, un lungo gioco distruttivo fatto da due giocatori troppo competitivi.

lunedì 26 gennaio 2015

True detective - Cary Fukunaga (2014)

(Id.)

Visto in tv.

(commenti spoiler free... al massimo alcuni riferimenti il più oscuri possibile)

Una coppia di detective (beh appena accoppiati in realtà) nella New Orleans del 1995 si trovano a indagare su un omicidio con caratteristiche di satanismo; durante le indagini scopriranno qualcosa in più di un semplice maniaco. Alcuni anni dopo (nel 2002) i due si lasceranno molto male per motivi ignoti ai più. Infine al tempo presente (2014) i due si troveranno (più o meno controvoglia) a indagare di nuovo sullo stesso caso.

Se ormai le produzioni televisive sono diventate qualitativamente simili a quelle cinematografiche e, a livello economico, altrettanto interessanti; non dovrebbe stupire di vedere telefilm di questo tipo; eppure di fronte a uno sforzo produttivo di questo tipo, con questi risultati e con una coppia di attori (uno in discesa, ma l'altro in rapida risalita) costretti in parti impegnative, beh vedere tutto questo fa del bene a chi guarda e fa molto più bene alla tv.

Il comparto estetico è impeccabile come mai prima (ok, un giorno parlerà di "House of cards" e forse qualche altra serie che sono almeno sullo stesso livello); una fotografia dai colori desaturati e terrei, un ambiente luminosissimo, ma di luci malate, una scelta delle location impressionante dove c'è una presenza pervasiva di una natura misteriosa che accoglie e permette il male, un uso intelligente delle musiche del sud e una regia che rimane a lungo incantata dagli esterni in cui ambienta l'opera. Direi che già con tutti questi elementi si poteva cavare fuori un telefilm estremamente bello. 
Se oltre a questo si mette la coppia di attori non molto affiatati (come richiede il ruolo), ma incredibilmente credibile (pardon), che recitano anche con i corpi (colluttazioni, gioco di sguardi e colore del viso che cambia, modificazioni corporali in base all'epoca in cui è ambientato) e che danno fondo a una serie completa di espressioni (più gelido e distaccato McConaughey, più arrogante e goffo Harrelson), direi che chiunque può trovare soddisfazione.
Passa anche in secondo piano una regia lenta e ariosa che ingloba, come già dicevo, gli esterni in grandi quadri dove un quadrifoglio autostradale o un bayou si equivalgono nel loro riuscire a inghiottire esseri umani, una regia che poi inserisce a tradimento alcuni virtuosismi autoriali pazzeschi (credo sia già famoso il lungo e ben costruito piano sequenza della quarta puntata).

Ripeto, già tutto questo potrebbe fare di questa opera un'ottima serie televisiva. Ma il vero valore aggiunto è nella scrittura.
Una trama complessa e affascinante scritta in maniera lenta e rilassata. Nei primi 5 episodi viene raccontata l'indagine del 1995 con i tre piani temporali che si intersecano e si sovrastano, gli uni raccontando gli altri o mostrando dove (e perché) sta mentendo il personaggio che racconta; il ritmo è pacato, il mood malato, cinico, senza speranza; divagazioni filosofiche ricche di cinismo, vite personali sterili ognuna a modo suo (non importa quanto il protagonista possa essere intellettuale o vitale, ognugno vive senza speranza); in mezzo a questo stiracchiarsi lento e inquietante la trama riesce a regalare scoppi di violenza improvvisa, da il destro a scene bellissime e amomenti di action perfetta. La sesta puntata è quasi un episodio di raccordo, conclude quello che è rimasto in sospeso nel passato e crea il cliffhanger per quello che verrà dopo. Le ultime due puntate infine sono un'accelerata continua, un tirare le fila di così tanti dettagli che sembra incredibile ci siano stati tutti e arriva al gran finale.
Al di là della perfetta gestione dei ritmi (tutto è calcolato in questo telefilm) e i cambi continui di ottica (nelle prime puntate ci si aspetta che la vecchia indagine continui fino alla fine, poi il cambio improvviso che chiarisce il perché degli interrogatori informali e ci si chiede come può andare avanti, quindi l'ultimo colpo di coda) quello che più colpisce sono i dettagli e i piani oltre al mood generale.
Le prime puntate sono disseminate di dettagli continui, buttati la come cose senza importanza, quasi per caso (alcuni addirittura sembrano, e forse sono, depistaggi), ma nel finale vengono ripresi tutti e diventano un unicum coerente. Vi sono inoltre miriadi di altri riferimenti che non vengono spiegati affatto (forse saranno l'aggancio con la prossima serie visto che sono tutte ufficialmente autoconclusive) e se guardate in internet ci sono decine di teorie che li uniscono; ma anche se non verranno mai spiegati formano di per se un mondo, un sottotesto che indica una direzione evidente pur senza risucire a dare un risposta definitiva, una realtà di riferimenti letterari, e non, in cui scoprirli può diventare uno splendido gioco nerd. E tutto questo a opere del geniale Nic Pizzolatto.
Infine il mood. I'inquietudine (il perturbante), la solitudine, il vago senso di surreale e soprannaturale, la provincia con tutte le sue sacche di malattie incurabili, il lottare contro forze superiori (fosse anche il caos) riescono a dare un senso molto vicino a quello di "Twin Peaks"; ma un "Twin Peaks" senza ironia, declinato nella versione cinica e senza speranza dei tempi attuali.

PS: i poster sono migliala e molti sono suggestivi; ma questo (uno di quelli ufficiali della HBO) è geniale.

venerdì 23 gennaio 2015

Il cappotto - Alberto Lattuada (1952)

(Id.)

Visto in tv.

Un dipendente del comune di Pavia degli anni '30 è un poveruomo, timido e bistrattato da tutti; si ritroverà coinvolto in una serie di colpi di sfortuna e rappresaglie personali per il semplice fatto di trovarsi (sempre) nel posto sbagliato al momento sbagliato. la sua vita cambierà quando deciderà di comprarsi, con tutti i suoi risparmi, un cappotto nuovo, molto costoso. Il cappotto però gli sarà rubato e il colpo sarà terribile. Fino alla fine si troverà nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Commedia nera tratta da Gogol, ma il tutto reso magnificamente all'italiana. Ambientata in una Pavia (location usualmente poco gettonata) lugubre e gelida, la storia riesce a concedersi molti momenti leggere nonostante il personaggio venga trascinato verso il basso.
Rascel, fisicamente perfetto per la parte, riesce a rendere del tutto la mitezza del personaggio, le sue grandi aspettative nonostante una vita così piccola. Nonostante l'amarezza riesce però a renderne anche il lato comico (bella per agrodolce la scena agli scavi romani).
Lattuada invece lavora di ombre come sa far lui, gioca con le luci e con i volti, trasforma i luoghi della città (il ponte coperto soprattutto) in location espressioniste, sostiene il ritmo nonostante una storia che gira su sé stessa, e lascia spazio agli attori di recitare o di caratterizzare in maniera caricaturale (il sindaco) se lo ritengono opportuno.
Vera nota dolente il finale. Se il film si fosse interrotto con l'inaugurazione con le autorità sarebbe stata una parabola impeccabile; il finalino soprannaturale moralista (ancorché comico) mi pare rovini un'atmosfera da parabola amara.
In ogni caso un film validissimo che mette in risalto un attore a me sconosciuto (Rascel appunto); da molti considerato il capolavoro di Lattuada (io gli preferisco ancora "Mafioso").


mercoledì 21 gennaio 2015

Gli amanti del Pont-Neuf - Leos Carax (1991)

(Les amants du Pont-Neuf)

Visto in Dvx.

Una studentessa delle belle arti, di buona famiglia, ma con una malattia agli occhi che la rende progressivamente cieca, si da al vagabondaggio per Parigi per la disperazione d'essere stata mollata; si ritrova a dividere il Pont Neuf in restauro con un giovane che fa il giocoleria e furti per vivere e un vecchio con un mazzo di chiavi che apre quasi qualunque edificio della città (e che spaccia ipnoinducenti). Tra i due giovani nascerà l'amore.

Inizia come un film iperrealista, quasi un documentario sui clochard della capitale francese, le docce comuni e le cure prestate. Piuttosto rapidamente perde questo tono e si lancia in un'atmosfera più di fiction ma al rallentatore; condisce diversi momenti con dei picchi di surrealismo e termina con un fare pedante e favolistico.
Ha di buono che Carax ha delle idee e sa anche creare delle immagini potenti; la famosissima scena dei due che ballano sul ponte sotto i fuochi d'artificio è giustamente famosa, il tuffo nella Senna all'Atalante è molto ben realizzato, la notturna al Louvre o l'incendio dei manifesti sono due idee molto buone che potevano rendere molto di più a livello visivo (e non ho citato l'ubriacatura in versione ridotta...). Però al di là di queste buone intenzioni il film non decolla, non decolla un pò per i personaggio francamente eccessivi (lui eccessivamente sociopatico, lei eccessivamente radical chic incazzata) e un pò (anzi, soprattutto) perché è la solita storia d'amore, non si discosta dall'ovvietà, crea ottimi momenti, ma il film poi prosegue sui binari del già visto.

martedì 20 gennaio 2015

Half of a yellow sun - Biyi Bandele (2013)

(Id.)

Visto al Festival di Cinema Africano (in concorso); in lingua originale sottotitolato.

Quest'anno gli organizzatori hanno avuto la brillante idea di mostrare metà dei film in concorso in novembre come di consueto e i rimanenti 5 un giorno al mese da gennaio in poi... certo permette di vederne di più, ma a mio avviso si perde abbastanza il senso della manifestazione.

In ogni caso questo è il film tratto dall'omonimo libro della Adichie, successo commerciale in diversi paesi del mondo e quindi ha attirato sguardi ben lontani dalla sola Nigeria, questa infatti è una coproduzione inglese e i soldi messi sul tavolo si vedono tutti.
La storia è un family drama inserito nella Nigeria post indipendenza, con i tafferugli etnici che ne seguirono i colpi di stato fino alla dichiarazione d'indipendenza della repubblica del Biafra e la successiva guerra per annetterlo nuovamente.

Il film è impeccabile, attori buoni (la Newton è piuttosto brava, meno l'insipido e inguardabile Mawle); i vestiti d'epoca sono perfetti, ben lavati e spesso ben stirati; gli interni sono incredibili, sia quelli che mostrano le case dell'upper class nigeriana, sia quelli venuti dopo la fuga da Nsukka. Tutto quello che è stato speso per il comparto estetico purtroppo ha dovuto drenare i fondi per altre parti del film, su tutte la sceneggiatura; 450 pagine di un libro denso vengono costrette in un minutaggio stretto che vorrebbe però mostrare tutto, ci sono salti continui a livello geografico e contenutistico, alle scene madri vengono concessi troppo pochi minuti per poter essere svolte in maniera dignitosa svilendo molte di loro (e rendendone incomprensibili altre o costringendo gli attori a lavorare sopra le righe per poter veicolare sentimenti complessi in una sola scena); inoltre una parte molto ben realizzata del libro era la vita durante il tempo di guerra, il convivere di situazioni al limite (bambini di città che muoiono di kwashiorkor) e vita di tutti i giorni, ovviamente tutto questo viene completamente eliminato.
La regia non entusiasmante fa molti meno danni.
Andava quantomeno fatta una scelta, invece si è voluto metterci tutto.

Il film è stato anticipato da un cortometraggio "Le trois vérité" di  realizzato da Louisa Beskri e Adehan Wakili in una co-produzione Algeria-Benin. Questo è un film d'animazione a tecnica mista CG-animazione tradizionale che racconta una favole per bambini senza velleità d'alto scopo. Niente di particolare se non le sequenze della corsa dove l'unione delle due tecniche riesce in maniera particolarmente efficace a dare il senso della corsa.

lunedì 19 gennaio 2015

Dal mattino a mezzanotte - Karlheinz Martin (1920)

(Von morgens bis mitternacht AKA From morn to midnight)

Visto in Dvx.

Un cassiere di banca si invaghisce di una donna che non riesce ad avere un credito; per amor di lei ruba i soldi e fugge a cercarla. Quando riuscirà a trovarla scoprirà che lei non è quello che pensava. Inseguito dalla polizia all'inizio cercherà di nascondersi, ma poi si farà prendere dalla frenesia del denaro rubato e si darà ad una gioia sempre più estrema e disperata, alla ricerca del brivido che i soldi promettono, ma senza riuscire a mantenerlo. Il finale sarà prevedibile, ma estremo (estremamente didascalico, soprattutto).
Ovviamente questa parabola sull'avidità e sul male durerà dalla mattina alla mezzanotte.

Misconosciuto (perché poi?!), estremo (l'ho già detto per caso?) ed eccessivo, opera d’arte totale dello stile espressionista tedesco.
Tutto è stato pensato per essere congruo con l’ambiente; gli interni e gli esterni costruiti in un teatro di posa con linee dure, spesso oblique e colorate con sprazzi di colore bianco che le rende tremule ed instabili; ogni oggetto presente, dai lampadari, al telefono dalle banconote, al giornale (fantastico, fatto da due pagine tagliate storte ed enormi scritte nere), tutto si adegua allo stile gotico dell’ambiente; il trucco degli attori sporco, che sottolinea i loro difetti; vestiti dipinti che sottolineano l’indigenza, la bruttura interiore o rendono macilente il personaggio; la musica ossessiva e ritmata; la recitazione sopra le righe (ma mai fastidiosa) che tende, nei momenti migliori (si veda la famiglia del cassiere) a trasformare i personaggi in marionette impazzite
Talmente spinto da sembrare un’opera teatrale sperimentale moderna.

In tutta questa profusione di sforzi visivi si intersecano anche intelligenti idee di regia, come le parole “cassiere in fuga” che escono da un palo del telegrafo (?) e vengono poi disperse dal vento o la gara ciclistica ripresa con una lente deformante.

Se, per l’espressionismo, "Il gabinetto dle Dr. Caligari" è il film più compiuto, questo ne è il manifesto estremista.

PS: per chi avesse dei dubbi sulle origini di Tim Burton, qui direi che c'è tutta la sue estetica senza tralasciare nulla.

venerdì 16 gennaio 2015

Yeelen, la luce - Souleymane Cissé (1987)

(Yeelen, AKA Luce)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.

Mali, epoca indefinita, in un passato magico. Un ragazzo è minacciato dall'imminente ritorno del padre che non ha mai conosciuto, il padre (un mago potente) lo sta cercando per ucciderlo. La madre gli consiglia di fuggire alla ricerca dello zio, mago pure lui, per cercare un sistema per battere il padre. Nel viaggio incontrerà un re che gli chiederà aiuto per battere dei nemici e poi per guarire la moglie dall'infertilità, ovviamente anche il ragazzo saprà usare a dovere la magia.

Film dalla trama lineare che si muove tra il passo pesante della tragedia classica (il destino incombente, lo scontro tra padre e figlio, le prove da superare) e lo spirito leggero della fiaba (la magia, l'inseguimento, le prove da superare); tra le due vie sembra che il racconto rimanga nel mezzo, teso verso un'ingenuità fanciullesca, ambientato com'è in un mondo dove la magia non è una scienza con regole definite (alla "Harry Potter") o una serie di trucchi stupefacenti (alla The prestige), ma è un dato di fatto usuale e molto terreno (fa volare gli oggetti, blocca le persone, fa esplodere lingue di fuoco, manipola le api).
Punto a favore il paesaggio; il film non si fa mai sopraffare dal contorno e i campi lunghi non sono diffusi o sottolineati, ma le location cambiano spesso, i colori dominanti della cornice esterna cambiano di continuo (verde, ocra, bianco, giallo, ecc..) dando senso di movimento anche all'ambientazione.
Il vero difetto è il ritmo lento con scarsi eventi significativi; prima dello showdown finale si può rimanere delusi ed interrompere la visione.
Così così per i dialoghi; buoni, aulici, ma spesso eccessivi ed eccessivamente adatti a rallentare ulteriormente il film.

mercoledì 14 gennaio 2015

Cold fish - Sion Sono (2010)

(Tsumetai nettaigyo )

Visto in dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un uomo è sposato con una casalinga disperata e sua figlia è una adolescentella stronza; pure lui non è un fiore, remissivo, grigio e ignavo non fa nulla per reagire alla routine mortale. Si, insomma, si odiano un pò tutti e nessuno si da una mossa. Lui è il proprietario di un piccolo negozio di pesci tropicali. Un giorno incontrano un ricco proprietario di negozio affine al suo, ne fanno l'ilare conoscenza perché il buon uomo non denuncia la figlia adolescente per taccheggio; anzi offre un lavoro alla ragazza, propone al padre di diventare socio, fa sesso sadomaso con la moglie. Ah si e poi uccide gente con il supporto (passivo perché è un ignavo) del padre, li scarnifica, li fa pezzi, brucia il bruciabile e getta ai pesci il resto. La situazione si fa sempre più infernale e complicata ed il povero padre inserito in questa spirale involontaria non riuscirà ad uscirne bene. Anzi, nessuno ne uscirà bene. A mala pena ne uscirà qualcuno.

Filmone distruttivo, amorale e cupissimo di un Sono in grande spolvero. Dirige con un piglio documentaristico fantastico la dissoluzione di una famiglia già morta nelle prime scene. Lo fa con l'introduzione di un personaggio splendido (nel senso che fa lo splendido), ironico in maniera idiota e grottesca, apprezzato per la sua espansività, ma che romperà ogni schema e con esso ogni rapporto familiare.
I temi in campo sono molti. Per primo direi l'assassino che alberga in ciascuno; se Lang si limitava a mostrare come un uomo semplice può trasformarsi in mostro in condizioni estreme, qui Sono mostra come tutti siano mostri e lo possano diventare in qualunque momento per qualunque ragione. Inoltre c'è un senso di violenza che stimola violenza, come una malattia infettiva. C'è una grande sensazione di moralità complessiva (si lo so, ho appena detto che è un filmone amorale, ma per le scene mostrate non per il significato), tutti qui soccombono alla violenza latente o diretta e tutti se lo meritano tantissimo, su tutti il protagonista immobile in tutto, passivo ad oltranza (splendida in questo senso la scena della scazzottata e poi del sesso entrambi fatti "passivamente)...
...poi cos'altro c'è... ah si, c'è un film violento e cattivo (psicologicamente prima ancora che fisicamente) che diventa splatter fin dalla prima mezzora, che è abbastanza mortifero da accontentare tutti e che ti dici più di così non può... ma poi arriva l'ultima mezzora, con una lotta in un corridoio insanguinato che te la raccomando e che ad un certo punto (ma ancora non è finito) ti mette una bella donna ad accarezzare con amore il torso squartato dell'amato, con una naturalezza che sembra una cosa ovvia.
E poi c'è il nichilismo. Un nichilismo distruttivo che farebbe impallidire quelli de "Il grande Lebowski"; il finale è uno dei meno accomodanti che ricordi da parecchio tempo a questa parte e, come viene ripetuto spesso durante il film, anche la terra è destinata a morire, fra solo 4 miliardi e 600 milioni di anni tutto sparirà.

PS: locandina, molto assennatamente, simile a questa



lunedì 12 gennaio 2015

Cupo tramonto - Leo McCarey (1937)

(Make way fot tomorrow)

Visto in Dvx.

Una coppia di anziani invita i 4 figli (in realtà sono 5, ma una non verrà causa la distanza, vive in California) per porgli un problema; hanno perso la causa per l'impossibilità di pagare il mutuo, hanno avuto 6 mesi di tempo, ma per non doverlo ammettere pubblicamente hanno aspettato fino agli ultimi giorni; ora c'è da decidere il da farsi. L'unica soluzione che riescono a escogitare i figli è dividere i genitori e farli vivere a casa di due di loro, mentre la terza (sposata con un riccastro) si preoccuperà di far posto a entrambi nella sua grande casa di li a tre mesi. malvolentieri i coniugi decidono di separarsi.
La convivenza forzata nelle due case porterà presto a motivi di attrito, ma mentre il padre non riuscirà ad adattarsi dentro casa e cercherà fuori la soluzione ai problemi (si cercherà un lavoro e intreccerà un'amicizia con uno scorbuto negoziante); la madre subirà senza opporsi, accettando di buon grado anche le soluzioni per lei più angoscianti.
Alla fine dei tre mesi di convivenza però la soluzione dei problemi sembra ancora lontana e si sceglie una soluzione più drastica.

Film sulla vecchiaia, che oggi sarebbe quasi di moda (anche se il piglio pessimista non sarebbe accettato), ma che all'epoca era una novità assoluta. La trama è ovvia, ma correttamente ovvia, sono i singoli episodi, i motivi degli attriti, le reazioni dei personaggi che, in diverse occasioni, mostrano più stupidità che altro (figlie di una scrittura superficiale o, come nella sequenza della visita del dottore, macchiettistica). La prima parte soffre molto di questi difetti; nella seconda invece il tono cambia, dalla farsa malinconica si passa al sentimentalismo puro e al melodramma. L'incontro tra i due coniugi dopo mesi di separazione è qualcosa di semplicissimo, di tenero e accomodante come neanche la Disney avrebbe potuto fare meglio, ma funziona perfettamente e, nell'ottica del finale, acquisisce un sapore amaro incredibile. La scena finale potrebbe essere la scena madre di ogni melodramma se i melodrammi avessero la decenza di mostrare i sentimenti in modo contenuto e personale.

PS: titolo originale amaramente ironico, titolo italiano angosciante.

venerdì 9 gennaio 2015

La cruna dell'ago - Richard Marquand (1981)

(Eye of the needle)

Visto in tv.

Seconda guerra mondiale, una spia tedesca in Inghilterra scopre che le truppe presenti nelle zone orientali del paese (e che significherebbero un attacco su Calais) sono in realtà dei modellini costruiti per stornare l'attenzione di Hitler dal futuro attacco in Normandia. Dovrà tornare in Germania per dirlo direttamente al Fuhrer; per farlo dovrà trovarsi sull'isola della tempesta entro una settimana e mandare un messaggio a determinate ore per essere recuperato da un sottomarino. In parallelo una coppia inglese con lei incinta subisce un incidente dove l'uomo perde l'uso delle gambe, incazzato con il mondo lui e la famiglia a carico si trasferiscono sull'isola della tempesta. La spia sarà inseguita per tutto il paese, riuscirà a naufragare sull'isola, dove sarà accolto dalla famigliola infelice, sedurrà la donna; ma presto i sospetti si rifaranno vivi.

Spy story affascinante, calata in un'ambientazione particolare difficilmente toccata da altri film (l'Inghilterra rurale) che parte con la vita tranquilla di una spia tedesca molto competente, per poi dare un senso di accerchiamento di un uomo su un isola (la Gran Bretagna), si prende il tempo per creare un inseguimento vero e proprio (quello in treno) e poi rinchiude il protagonista su un'isola più piccola dove si gioca le carte della lotta psicologica fra i personaggi in costante tensione reciproca; nello showdown finale invece ci sarà una lotta molto fisica (non un corpo a corpo, ma un utilizzo del proprio corpo: dita staccate, elettrocuzione, dead man walking). Tutte le parti riescono a risultare credibili e si alternano l'una all'altra senza salti.
Il film è tenuto in piedi da un Sutherland perfetto; lui infatti riesce a dare il meglio di sé quando deve essere competente e glaciale; in più qui riesce ad essere perfettamente british.
La ricostruzione degli anni '40 e le scelte di fotografia tutte giocate sul marrone e il senso di umidità riescono a rendere il film non databile, quindi sempre attuale.

mercoledì 7 gennaio 2015

Stress da vampiro - Robert Bierman (1988)

(Vampire's kiss)

Visto in Dvx.

Uno yuppie di New York dal ciuffo biondo e con la psicoterapeuta con lo studio in centro città comincia a credere di esser un vampiro. Si ha avuto un incontro ravvicinato con un pipistrello ed un paio di allucinazioni, ma senza alcuna prova è convinto del suo graduale trasformarsi in mostro. Non riesce più ad avere rapporti con l'unica donna che gli interessa, mangia scarafaggi e piccioni crudi, si compra un paio di canini finti, abusa (in ogni senso possibile) di una sua segretaria e cerca di morire.

Il film potrebbe essere qualcosa di bello; una discesa dentro la follia che si esprime soprattutto come violenza psicologica (e non solo) verso le persone sottoposte; invece in questo film si preferisce mettere insieme 3 o 4 idee tutte contemporaneamente, mischiarle, seguirne malamente una più delle altre e vedere cosa viene fuori.
Non è una commedia nera in senso stretto; si ride per gli eccessi del film, ma dubito fossero voluti; non è un horror o un thriller e non funziona bene neppure come dramma.
Però questo film si ricorda e deve essere visto per Nicolas Cage. Dire che qui reciti sopra le righe è un eufemismo; qui vince il campionato mondiale di faccette esagerate in quasi ogni inquadratura (è da questo film che viene fuori il "You don't say" dei rage comics) e si permette discorsi idioti come "scusa se ieri sembravo volerti violentare in ufficio, ma avevo preso della mescalina e sai come va con queste cose" (e viene compreso e perdonato). Per me però la scena cult è quella nel finale dove lui pensa di stare dalla psicoanalista e di incontrare la donna della sua vita.
Applausi.

lunedì 5 gennaio 2015

La chiave di vetro - Stuart Heisler (1942)

(The glass key)

Visto in Dvx.

Un uomo (ricco) si innamora della figlia di un politico in corsa come candidato senatore (...mi pare) e per amor di lei ne sostiene ne sostiene la campagna e lascia a piedi la malavita con cui, fino aquel momento, collaborava. Quando il fratello (scapestrato) della ragazza viene trovato morto il ricco viene immediatamente considerato colpevole; entrerà in scena l'amico e braccio destro dell'uomo che indagherà fra la vita privata del morto e la malavita, si farà pestare in diverse occasioni e, alla fine, risolverà il dilemma; e tutto per amor di lei...

Noir dalla trama impeccabile di un Hammett in forma, talmente in forma, che il film punta tutto sull'intreccio e dimentica l'atmosfera. Questo è infatti uno dei noir meno duri che abbia visto di recente, dove è possibile morire e facile cadere innamorati.
Apprezzabile il contorno dei comprimari che hanno tutti le facce giuste (soprattutto quel pugile mancato di Benedix); meno in forma Alan "Shane" Ladd piuttosto inespressivo e pessimo il doppiaggio atroce. Ah si, Veronica Lake è sempre bellissima (pare che Ladd sia stato scelto come protagonista perché era l'attore più basso sotto contratto della produzione e ci voleva qualcuno che non facesse sfigurare i 150 cm della Lake...).
C'è poco da dire, un film che si guarda volentieri perché ti fa passar bene un'ora e mezza e che poi lo si ricorda per i dettagli inutili e non perché ti ha lasciato qualcosa.



venerdì 2 gennaio 2015

Soldi sporchi - Sam Raimi (1998)

(A simple plan)

Visto in Dvx.


In una cittadina sperduta in mezzo alla neve un padre di famiglia (beh, tra poco, visto che la moglie è incinta) con il fratello un pò minus e l'amico alcolizzato del fratello, trovano un aereo precipitato in mezzo al niente nella neve; dentro un cadavere ed un mucchio di soldi. Che fare?
Alla fine si opta per il tenersi tutto il malloppo, aspettare un annetto e poi dividersi il bottino. Il piano appare semplice, ma presto l'amico disadattato creerà problemi e ci saranno un paio di tracce da cancellare, la moglie del protagonista suggerirà qualche altro semplice piano per sistemare la faccenda, ma il dramma sprofonderà sempre di più verso la tragedia.

Noir buissimo condotto da un Raimi estremamente parco di guizzi registici, tutto concentrato a condurre una sceneggiatura tesa, solo qualche idea sparsa qui e la (i corvi come simbolo), ma senza mai eccedere e mangiarsi la scena.
Il film è magnifico. la trama è certamente macchinosa, molto schematica, ogni azione condotta dai personaggi (anzi dal protagonista) per cercare di appianare i problemi conduce tutti sempre di più verso la disperazione; tuttavia la realizzazione di qualche personaggio davvero buono (per me vince la moglie, candida donna incinta all'inizio, perversa Lady Macbeth poi), un  cast che ha tutto al posto giusto (Thornton all'inizio l'avevo confuso con David Cross) e alcune scene strepitose e disperate (più che lo showdown all'aereo io sono rimasto esterrefatto della serata alcolica a casa dell'amico, con tutta la serie di momenti di tensione). E poi c'è un finale amarissimo e senza speranza.
Già i Cohen avevano realizzato un noir immerso nel bianco (probabilmente migliore per qualità complessiva), ma era molto più interessato ai piccoli momenti di ogni giorno e condito con la solita dose di ironia grottesca; qui siamo quasi su un altro pianeta, qui il tono è duro e secco e non ci sono vincitori.