mercoledì 29 aprile 2015

Assunta Spina - Francesca Bertini, Gustavo Serena (1915)

(Id.)

Visto qui.

Assunta Spina è una donna fidanzata con un uomo molto geloso, a seguito di uno dei suoi momenti di follia lui la sfregia. Lei lo perdona e testimonia in suo favore, ma lui finisce comunque in carcere per due anni. Mentre sconta la pena Assunta si disamora del fidanzata e frequenta un altro uomo, vorrebbe sistemare le cose prima che lui esca dalla prigione, ma (non ho capito il perché) viene scarcerato prima. La tragedia è dietro l'angolo.

Forse il film più importante della Bertini per l'impatto, la qualità e le vicende produttive.
La Bertini non si limitava a essere un'attrice, passiva e in disparte, era una forza della natura, probabilmente arrogante e sicura di sé, questo film lo volle fortemente fare, lei organizzò il tutto, ma soprattutto lei lo co-diresse de facto, spostando le comparse e la macchina da presa secondo il suo gusto e rifacendo le scene finché non le riteneva venute bene. Primo caso, che io conosca, nella storia del cinema di attrice (donna) che si fa regista.
In secondo luogo, gli esterni sono quasi tutti realizzati realmente in outdoor; anche qui su forte spinta della Bertini. Il che permette di vedere alcuni scorci della Napoli degli anni '10 e in secondo luogo è sempre stato preteso (dalla Bertini stessa) essere il primo film neorealista della storia. Se è vero che il neorealismo è qualcosa di più, bisogna comunque ammettere che l'utilizzo di gente del posto e dei luoghi originali è stato per la prima volta reso, cinematograficamente bene, qui per la prima volta.

Infine veniamo alla parte più tecnica. La regia è statica come sempre in questi anni (ok, questo è l'anno successivo a "Cabiria", che ha spiegato come si poteva muovere la macchina da presa, ma era comunque pionierismo), ma la costruzione delle scene è sempre ben ragionata, con quasi tutte le inquadrature disposte su più piani (la tavolata a Posillipo è in diagonale, in tribunale e nella sala d'aspetto ci sono attori distribuiti per tutta la lunghezza delle stanze, ecc...), una disposizione davvero curata che lo fa assomigliare più ai film del decennio successivo che ai suoi contemporanei. Il montaggio non è nulla di enorme, ma riesce comunque a mantenere sempre un ritmo minimo in una storia dall'andamento rilassato.
Poi c'è la questione della recitazione. In decisa controtendenza con i kolossal suoi contemporanei (e in completa antitesi con la Borelli e le sue estimatrici) la Bertini decide di giocare di sottrazione (per l'epoca) e opta per una recitazione più vicina al vero. Di fatto ci sono ancora diverse mani al cuore, movimenti ortogonali e visi che si voltano con enfasi, ma in maniera decisamente minore e, soprattutto nella prima parte, c'è un tentativo di ridurre al minimo il "sopra le righe". Questa è una innovazione decisamente moderna e permette a diverse scene di avere un effetto non straniante, difetto che spesso i film muti hanno su uno spettatore moderno (tutta la prima parte in questo senso è perfetta).
L'"Histoire d'un Pierrot" ci mostra una Bertini esagitata, quindi il suo contenersi è uan scelta stilistica precisa; scelta che permette lunghe sequenze di recitazione che non risultano eccessive e che riescono a comunicare molto con pochi cartelli.

Ultima nota, ho trovato molto belle le inquadrature in controluce sull'acqua, idea che riesce a magnificare i momenti di idillio fra i due innamorati.

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