mercoledì 14 ottobre 2015

The program - Stephen Frears (2015)

(Id.)

Visto al cinema.

La carriera di Lance Armstrong, iniziata come buon ciclista, ma senza i numeri per diventare il numero uno, l'incontro con il medico italiano sdoganatore dell'EPO, il tumore, lo stop forzato e il ritorno in scena, più affamato di vittorie di prima, dunque più affamato di doping. Infine il castello che scricchiola, Armstrong che si prendere la mano e torna in pista dopo il ritiro, i sodali che cominciano a fare i delatori, il crollo.

Si vede fin da subito che dietro la macchina da presa non c'è il primo che capita. Per prima cosa Frears si interessa a dare dignità a uno sporto che nei paesi anglofoni non è seguito come tra i neolatini, mostrando la fatica, la parte muscolare, trattando i ciclisti come il cinema americano fa con i pugili, mostrandoli come dei lottatori contro i limiti umani. Poi si impegna nel ritmo; almeno per tutta la prima parte il film non molla un secondo, si muove rapidissimo senza lasciare il tempo di stancarsi di una storia non proprio nuova. Infine Frears dimostra di non essere solo un buon montatore e distribuisce una serie di lavori d'inquadratura per tutto il film (messe a fuoco su piani diversi, la macchina da presa che mantenendo il primo piano di Armstrong si muove lentamente verso i lati, inquadrature oblique, primissimi piani tesi, ecc...) e credo sia qui il plauso maggiore; non fa giochi di prestigio tirando fuori una sequenza da urlo e dimenticandosi del resto del film, ma con calma e mano invisibile sparge delle piccole perle per tutta la durata.

Dopo tutto ciò però bisogna essere chiari. Questo è un film inutile. Non brutto, come può esserlo con queste premesse (e una colonna sonora ricca di canzoni da manuale)? Però non funziona.
C'è una parabola umana, che però non è chiara; non si capisce esattamente perché Armstrong faccia quelle cose, perché prenda determinate decisioni.
C'è una parabola sportiva che viene però mostrata per sommi capi, non rimangono buchi, ma i pezzi messi in mostra risultano disgiunti o mostrati troppo rapidamente. In poche parole mi dicono che sia stato un grande, ma non si capisce.
Di fatto il film si perde nella sceneggiatura; delinea approssimativamente un personaggio e una storia partendo dal presupposto che tutti sappiano e che si accontentino di vedere le parti che si aspettino di vedere (le lacrime in diretta tv) e basta. Le motivazioni alla base delle scelte e i motivi del mito e della sua caduta vengono relegati allo sfondo.

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