lunedì 18 gennaio 2016

Ballata dell'odio e dell'amore - Alex de la Iglesia (2010)

(Balada triste de trompeta)

Visto in Dvx.

Durante il franchismo un ragazzo, figlio di un clown arrestato e ucciso dai fascisti, entra in un circo dove farà il clown triste (la spalla comica, mai protagonista, quello che si prende le torte in faccia); purtroppo il clown tonto (il protagonista della coppia) è un uomo violento e alcolizzato che picchia continuamente la sua sexy compagna. Ovivamente il clown triste se ne innamorerà, ma sarà abbastanza saggio da lasciarla perdere... se non fosse che lei continua a cercarlo. Quando verranno scoperte insieme si scatenerà dapprima la vendetta del clown violento, che trasformerà il buon protagonista in un animale (letteralmente) violento.

Per prima cosa voglio mandare a cagare i distributori italiani; questo era il film che volevo a tutti i costi vedere al cinema, impiegarono più di un anno a farlo uscire (nonostante la vittoria al festival di Venezia e l'endorsement di Tarantino) e quando finalmente arrivò in sala ci rimase per circa 10 minuti. Vi odio.

Solo ora, a distanza di anni, finalmente, lo vedo per la prima volta. E capisco che avevo ragione, avrei dovuto vederlo al cinema.
Qui siamo di fronte a un film con tutte le caratteristiche che de la Iglesia ha sparso nella sua filmografia, ma, per la prima volta, declinate in un tono completamente drammatico.
C'è la deformità fisica, lo scontro a due, lo showdown finale in cima a un palazzo (qui una croce), ma soprattutto il fatto che l'inferno sia nascosto dentro ognuno, il problema sono gli essere umani, tutti, sempre (anche il protagonista, i buoni, anche le persone amate, anche i bambini, nessuno si salva). Ovviamente qui il lavoro è più fino perché la storia classicheggiante (di fatto un triangolo amoroso) viene inserita in due contesti, quello circense (che permette di attingere a piene mani a un immaginario gotico enorme; nient e infatti mi toglie dalla testa che la morte del padre del protagonista sia ripreso da "Lo sconosciuto" di Browning), ma soprattutto nel periodo franchista (con un lavoro raffinatissimo di immersione in fatti realmente avvenuti, lasciandoli sullo sfondo senza che diventino mai i protagonisti, ma che abbiano comunque un peso sulla vicenda, soprattutto morale, con un senso di morte e disperazione perenne).

Fotografato in maniera impeccabile si apre con un paio di scene tra le più belle di tutto il film, il circo che viene svuotato e il protagonista da giovane che viene avvicinato da un leone (non è una scena utile, non serve a nulla, a mala pena è simbolica; però è di una bellezza incredibile) e poi ovviamente il padre, truccato da clown e vestito da donna che uccide i fascisti a colpi di machete, un esempio di lirismo alla de la Iglesia che potrebbe fare scuola.
Ma al di là dell'apertura le scelte estetiche sono costanti in questo film e si distinguono in una più oscura e fosca per gli anni '30 e una più calda e sterile per gli anni '70 (oltre a una più fiabesca e gotica per le scene in notturna). Il film è costellato di scelte che pigiano sull'acceleratore del grottesco, raggiungendo il picco (a mio avviso) con al trasformazione del clown in un pagliaccio vestito con i paramenti sacri; c'è del folle e del magnifico dando un senso esteriore alla trasformazione interiore del personaggio e rendendo un senso di metamorfosi quasi organica (si pensi al modo alternativo che trova per "truccarsi" il volto) arrivando a quella di "Clown" pur partendo da presupposti molto distanti.

La regia è opulenta e magnifica proprio come ci si può aspettare. Costruisce vere e proprie cartoline negli anni '70, gioca con le luci e i colori con un senso espressionista, rende dinamici i dialoghi più banali con montaggio alternati e inquadrature da punti di vista differenti e nel resto della pellicola ci butta il solito fluire di carrelli, inquadrature dal basso, movimenti e dolly. Anche se il pregio maggiore è il ritmo che viene impresso alla storia; non c'è un solo momento di stanca e la storia viene lasciata correre all'impazzata dall'inizio alla fine con un costante aumento dell'action; un ritmo che non cala neanche nelle lunghe scene posticce, belle, ma inutili ai fini della storia (come il bellissimo episodio alla Pelevin in cui il protagonista diventa il cane da riporto di un generale franchista).
Inoltre il film regge anche nel finale (uno dei talloni d'Achille di de la Iglesia), dove vengono tirate le fila di tutte le storie sparse lungo la storia, con teschi, animali da circo, la "Balada de trompeta" di Raphael, tutti nascosti dentro alla chiesa scavata nella roccia dal padre del protagonista; tutto in un crescendo di azione con amore e morte (e violenza e odio) come se "Duello al sole" fosse stato realizzato da un Tim Burton dei tempi d’oro su un progetto di Tod Browning.

Va fatto un encomio anche ai titoli di testa. Non sono bellissimi, ma considerando che i precedenti di de la Iglesia erano davvero terribili, qui unisce immagini del franchismo a fotografie horror cinematografiche tentando di creare un parallelo fra i due, un mood e contemporaneamente mostrare il passare del tempo.

...i difetti? beh si ce ne sono, per lo più nella sceneggiatura e sono anche piuttosto evidenti. Troppa carne al fuoco, troppi rivoli in cui si perde la storia, diversi vicoli ciechi, alcune scene o personaggi totalmente inutili se non addirittura irritanti (il motociclista a cosa serviva? soprattutto nel finale perché mettercelo?). Eppure questi problemi grossolani non scalfiscono minimamente né il ritmo, né il mood, riuscendo a farsi perdonare rapidamente.

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