lunedì 25 gennaio 2016

La decima vittima - Elio Petri (1965)

(Id.)

Visto in Dvx.

In futuro la violenza sarà controllata incanalandola in un gioco; iscrivendosi volontariamente si è obbligati a partecipare a 10 cacce come cacciatore e a 10 come vittima; nel primo caso si sarà informati di tutti i dati di una persona nel mondo e la si dovrà uccidere (ovviamente quella persona potrà uccidere il cacciatore), nel secondo caso ci si convertirà in preda di un cacciatore. A Roma un abile cacciatore diventa la vittima di un'americana, dona pragmatica che decide di mettere su uno show televisivo e uccidere l'uomo di fronte al Colosseo; per farlo tenterà di sedurlo, ma a quanto pare la seduzione funzionerà e sarà reciproca.

Tratto da un buon racconto di Sheckley (anche se devia dal testo originale) questo è ufficialmente considerato il primo film di fantascienza italiano e, se si escludono i lavori di serie B, a oggi rimane uno dei pochissimi. Per me rimane uno dei prima a mostrare il reggiseno con le pistole incorporate (sentiti libero di ringraziare Rodriguez).

A livello visivo ha il classico immaginario estetico che si aveva del futuro negli anni '60, colori chiassosi, scenografie lineari e pulite con un grosso uso del colore bianco (si potrebbero definire alla apple); riescono comunque a mostrare scorci cittadini interessanti e a incorporare simboli antichi come il Colosseo. L'immaginario tecnologico invece appare ovviamente invecchiato e male (i walkie talkie, il megacomputer messo da solo in una stanza vuota).

Come regia non ci si può sbagliare, con un Petri, come sempre, di classe: uso dei colori enfatico, scene costruite geometricamente, alcune sequenze encomiabili (i flash degli spari nella palestra) movimenti di macchina diffusi come al solito.

Al di là di tutto il vantaggio di questo film (un film di fantascienza fatto molto di chiacchericcio e poco d'azione) è che non si prende sul serio; il protagonista è interpretato da un Mastroianni come sempre sornione (e biondo), c'è la presenza di un Salvo Randone fatto a pezzi (finalmente in una parte diversa dal solito ispettore), una trama che si sposta verso lo scontro fra i sessi all'italiana, un finale da commedia pura e una serie di strizzatine d'occhio encomiabili (Mastroianni che abita in Lungotevere Fellini o gli insulti ai neorealisti, persone volgari che tirano i pomodori a una setta religiosa).
Il problema però e insito nel suo vantaggio. Per un'imposizione di Ponti, il finale si sposta rapidamente dal tragico (come avrebbe potuto essere senza fare del male alla storia) alla commedia, inverosimile, caciarona e accomodante; ecco il dilungarsi del finale è davvero il maggior difetto del film.

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