mercoledì 17 febbraio 2016

The hateful eight - Quentin Tarantino (2015)

(Id.)

Visto al cinema.

Vabbè, parliamone.

Io sono uno dei pochi che ha disprezzato altezzosamente "Django"; sono ancora convinto che quel film sia il peggiore della carriera di Tarantino e, dunque, le aspettative per quest'ultimo non erano altissime. All'uscita dal cinema però ero soddisfatto.
Per essere chiari; probabilmente è il suo film meno efficace (dopo il suddetto "Django" e, forse, dopo "Death proof"), ma, finalmente, si toglie dal binario dei film alla Tarantino che lo stesso Tarantino continua a fare da "Kill Bill" in poi e ritorna più vicino ai ritmi e ai toni anni '90.
Fotografia curata nel dettaglio, ma non più patinata; fighetteria sempre presente, ma meno vistosa; uso della luce etereo con un uso del riverbero impressionante, ma, soprattutto ritmo rilassato. Era dai tempi di "Jackie Brown" che Tarantino non teneva il ritmo di un suo film su questi livelli, un ritmo basso per cercare di creare suspense in maniera classica, giocare con il pubblico allungando l'intro sapendo che chi va al cinema per un suo film si aspetta una fontana di sangue (che ovviamente arriverà, ma ci vuole arrivare con calma); ma intanto il lavoro che fa è tutto di trama, una delle più intellettuali della sua carriera.
Il film che viene messo in scena è un grand guignol dai più nichilisti di sempre, dove la violenza non è discutibile in sé stessa, ma è discutibile i quanto unica forma di comunicazione compresa da tutti; un film dove tutti sono destinati a morire e tutti sono degli stronzi; un film (giustamente già definito) postapocalittico, dove l'apocalisse è stata la guerra civile americana; non c'è possibilità di salvezza per nessuno (anche perché nessuno la merita).
Altro spunto estremamente interessante è la messa in scena di una messa in scena. In questo film tutti stanno mentendo, tutti millantano identità, ruoli o conoscenza che non hanno; nell'ottica di quel nichilismo già citato (e con un avvicinamento inquietante al cinema di Farhadi) qui niente di quello che viene detto può essere provato e, fino a un'eventuale ammissione diretta, nessuno (spettatore compreso) saprà se ciò che viene riferito è una menzogna. La verità semplicemente non può essere raggiunta.

Poi c'è la questione del mystery alla Christie, svolta francamente interessante che all'inizio è davvero ben condotta, ma che a conti fatti (buttati li in mezzo a un film che prima e dopo ha un altro ritmo, per l'inutilità nel concedere uno showdown di quel tipo e per la sua pochezza in sé) ha il sapore di un'occasione perduta più che di un'idea avvincente.
Altra nota terribilmente negativa è che questo film conferma la fase negativa nella scrittura di Tarantino; il film regge, ma come in "Django", non ci sono dialoghi memorabile; tutti i lenti scambi di battute funzionano, ma non sono pezzi d'arte come era solito fare. Che sia il declino?

PS: e finalmente un film di Tarantino con Jackson protagonista.

Nessun commento: