lunedì 31 ottobre 2016

Il cerchio - Jafar Panahi (2000)

(Dayereh)

Visto in Dvx.

Una coppia di donne fuggita dal carcere cerca di trovare rifugio, nella famiglia o nella fuga. Una donna incinta chiede a un'amica infermiera di aiutarla ad abortire. Una donna in macchina con un uomo (che non è suo marito) viene portata in carcere.
Storie di donne che si affiancano, si incrociano e poi si lasciano. Storie disgiunte unite da un ambiente in comune e dalla mancanza di libertà personali.

Con uno stile estetico più vicino ai Dardenne che a quello de "Il palloncino bianco" (che era molto più rigoroso in confronto a questo) Panahi racconti di questo gruppo di donne che si passano l'interesse della macchina da presa sottolineando la banalità del sessismo della società iraniana che impedisce a loro di poter comprare un biglietto d'autobus, poter andare in taxi da sole, o fumarsi una sigaretta. Proprio la sigaretta diventa il più forte simbolo reiterato della amncanza di libertà e della castrante società iraniana.
Proprio come nei Dardenne si cammina molto, si inseguono i personaggio, ci si concentra sui corpi e sui volti, senza rinunciare ad alcune scelte prettamente geometriche nella costruzione di alcune scene (le due donne sedute ai due lati della panchina nello spogliatoio, divise dalle intenzioni e dallo schienale).

Se in "Dov'è la casa del mio amico?" (ma anche nell'opera prima dello stesso Panahi) venivano usati i bambini come espediente per parlare dei conflitti sociali senza incorrere nella censura; qui Panahi si butta a uso duro senza nascondersi dietro alle metafore, ma usando le metafore per rafforzare ed esemplificare quanto sta dicendo.
Il film è indubbiamente lento, indubbiamente presenta lunghi momenti di noia, ma altrettanto indubbiamente riesce a trasmettere un sentimentalismo frustrato in un film di denuncia; cosa non facile.

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