lunedì 10 ottobre 2016

Le invasioni barbariche - Denys Arcand (2003)

(Les invasions barbares)

Visto qui.

Quindici anni dopo le vicende de "Il declino dell'impero americano" il protagonista del precedente film scopre di avere un tumore; è terminale. Il figlio, con il quale non ha mai avuto un rapporto torna dall'Inghilterra (dove lavora nella finanza) per assisterlo. Metterà a disposizione tutti i suoi soldi per ottenere stanze migliori, eroina (da usare al posto della morfina) e per portare vicino al padre il gruppo di amici di vent'anni prima.

Sembra che Arcand abbia atteso un evento per potersi permettere di realizzare un seguito al cult degli anni '80; quell'evento è stato l'attacco alle torri gemelle che all'inizio del film viene considerato l'inizio delle invasioni barbariche. Tolto questo breve accenno tutto il dissertare su declini e imperi viene lasciato da parte e il bellissimo titolo è solo una scusa per creare un collegamento intellettuale con il precedente lavoro di Arcand.

In realtà questo è un film sulla morte e sull'amore per la vita.
Un uomo innamorato della vita (o del ricordo della vita) deve morire; pur nel panico più totale affronterà la cosa con un piglio allegro, discuterà ancora dei massimi sistemi con gli amici di un tempo, noterà come la vecchiaia incipiente spazzi via le passioni della gioventù, con il distacco degli anni sottolineerà la ridicolaggine di cui si circondavano nel passato e tenterà di riavvicinarsi ai familiari più stretti, ognuno a suo modo distante (la moglie divorziata, il figlio antagonista e la figlia su una barca in mezzo all'oceano).
Inoltre viene suggerito in maniera continua il cambiamento nel rapporto di forza fra le professioni; se 15 anni fa i migliori della loro generazione erano gli intellettuali (intellettuali ipocriti che mostravano il loro potere chiacchierando con supponenza), i nuovi miti sono i finanzieri che mostrano i muscoli con atti di violenza sociale fatti a suon di quattrini (l'apertura di un piano dell'ospedale solo per ospitare il padre, lo sfruttamento della tossicodipendenza, ecc..).

Come stile di regia Arcand è molto cambiato, gioca molto di più con il montaggio (sembra abbia appena imparato a usare il fade to black visto che lo usa continuamente in questo film) e con la fotografia dai colori curati; riuscendo a dare un senso di movimento maggiore che nel precedente pur muovendo meno la macchina da presa.


Nessun commento: