lunedì 22 maggio 2017

Jungle fever - Spike Lee (1991)

(Id.)

Visto in Dvx.


 Un architetto (mi pare...) si innamora della sua segretaria e inizia una relazione che lo porterà ad allontanarsi dalla moglie (con la quale era felicemente sposato)... storia banale se non fosse che lui è nero e lei italoamericana. Un problema per la New York dell'epoca. I rispettivi ambienti sociali reagiranno alla cosa, per lo più in maniera violenta o scomposta fino a influire sulla relazione; fra i due si insinuerà il dubbio di un problema razziale anche all'interno della coppia.

Tagliamo la testa al toro; nell'Italia d'inizio anni '90 il milkshake era un concetto inesistente ed è stato, assurdamente, modificato in zabaione... come se si potesse realmente bere 4-5 bicchieri da litro di zabaione.

Detto ciò il film è abbastanza nettamente diviso in tre parti. Quella ambientata ad Harlem è una commedia upper class molto chiacchierata, una sorta di Woody Allen con meno ironia; quella nel quartiere italoamericano è un dramma familiare di tutti i personaggi; a questi due emisferi si insinua fino a diventare preponderante nel finale il dramma sociale sulla tossicodipendenza.
L'idea meglio gestita è quella di mostrare il razzismo delle due comunità, vive di pregiudizi ognuno nei confronti degli altri, ma anche il pregiudizio interno rivolto a chi tradisce, alle varie gradazioni di carnagione o quello fra i generi. i caratteri descritti sono piuttosto luogocomunisti ed esagerate, ma l'effetto finale è buono.
Quello che sfugge è la necessità d inserire, non una, ma due storie; quella dell'amico della protagonista (il cui padre è interpretato da un Anthony Quinn vestito esattamente come mio nonno) e quella del fratello del protagonista che introduce la questione della droga. Quest'ultimo è chiaramente una sorta di necessità morale di Spike Lee, vista l'emergenza sociale dell'epoca; ma entrambe queste storie non fanno altro che rendere dispersivo il film e allungare in maniera artificiale una trama indipendente, dando il là a un finale obiettivamente brutto.

La regia è ottima e più rilassata del solito anche se piena di carrelli circolari, macchina da presa che pedina i personaggi e, per la prima volta, il personaggio che si muove di concerto con la macchina da presa entrambi posti sullo stesso carrello (cifra stilistica di Lee, qui utilizzata in mnaiera lenta e delicata con un effetto straniante particolare).
Il cast all'altezza da il destro a un grandissimo Snipes (attore che di solito fatico a sopportare), ma soprattutto permette a Jackson di dare vita a quella che, credo, possa essere considerata la sua migliore interpretazione.

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