Visto in Dvx.
In una famiglia borghese ben strutturata entra un nuovo personaggio. Ospitato dal figlio, senza fare quasi nulla, sarà il catalizzatore di pulsioni represse e ansie di tutta la famiglia che, dopo la sua partenza, cercherà una via di fuga, un modo per nascondersi a sé stessi o una sorta di redenzione. Ovviamente senza riuscirci (solo la donna di servizio raggiungerà la santità, per gli altri, troppo altolocati, non ci sarà possibilità di salvezza).
I film a tesi non mi hanno mai entusiasmato e il 1968 in queste cose non aiuta. Un intero film sull'ipocrisia, la perdizione e l'impossibilità di salvezza della borghesia mi sembra veramente troppo (e nello specifico, anche invecchiato maluccio)... tuttavia Pasolini non si limita a essere impegnato, ma è anche un artista elegante e intelligente. Se il film nel contenuto è più enfatico (e urlato da un pulpito) che altro, a livello strutturale è ottimo; poco parlato, ma molto fluido, riesce a fare a meno dei dialoghi pur mantenendo un'espressività enorme (anzi, quando arrivano i soliloqui dei personaggi a metà film il mood crolla miseramente sotto la pesantezza di quegli intellettualismi inutili).
E se i film a tesi, per definizioni, pontificano dando ragione a sé stessi, Pasolini non fa eccezione, ma si concede un'attenzione all'allegoria che altri si sognano; la fine dei personaggi, al di là del significato, hanno qualcosa di affascinante, ma sopratutto la donna di servizio e il padre di famiglia hanno in sé qualcosa di epico, rispettivamente in positivo e in negativo.
Inoltre non si può far finta di non notare un'equilibrio nelle inquadrature che traspare da ogni fotogramma che venga estrapolato.
Pur senza citazioni dirette, questo film è il padre putativo della lunga serie di
opere in cui un personaggio nuovo si inserisce e fa esplodere una
famiglia (gli ultimi due che mi vengono in mente, tutti e due
giapponesi, sono ad esempio "Visitor Q" o "Cold fish", quest'ultimo con un personaggio
che lavora dall'esterno).
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