lunedì 15 gennaio 2018

Le mura di Malapaga - René Clément (1949)

(Au delà des grilles)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato.

Un fuggitivo dalla Francia fugge in Italia a bordo di una nave; vorrebbe raggiungere Napoli, ma a causa di un mal di denti è costretto a scendere a Genova. Tolto il dente viene raggirato e perde tutti i soldi; depresso e disilluso decide di costituirsi, ma la centrale di polizia sovraffollata sembra respingerlo. Decide quindi di andare a mangiare in una trattoria e non pagare (avendo solo 2000 lire false), così che sia la polizia a venire da lui. Nella trattoria conoscerà una donna separata dal marito e con una figlia che gli farà riconsiderare i piani per il futuro.

Dolce, ma mai stucchevole, storia di un uomo distrutto dalla vita (e dalle proprie scelte) che torna ad avere della speranza; ma è anche la storia di una donna distrutta dalla vita che torna ad aver speranza.
Non succede quasi nulla dopo l'incontro fra i due; non ci sono storie d'amore epocali; ma una storia di emozioni che tornano a nascere tra le rovine della seconda guerra mondiale.
Ovviamente è una coproduzione franco-italiana, non un film americano, quindi il finale non sarà dei migliori.

Opera osannata dalla critica dell'epoca (vincitrice di un Oscar come miglior film straniero e a Cannes), ma presto dimenticata. Forse non è il devastante capolavoro che sembrava all'epoca, ma certamente è un film da recuperare in quanto coniuga magnificamente il realismo poetico francese (i giochi di ombre, le strutture in notturna usate in maniera quasi espressionista, un certo gusto noir nel mood, il personaggio antieroico protagonista, nonché la faccia quasi patognomonica di Gabin) con il neorealismo italiano (situazioni di vita vera della protagonista e dei personaggi di contorno; le vere rovine della Genova post-bellica utilizzate come ambiente, ma anche come mezzo per creare il mood, i piccoli sentimenti che diventano protagonisti). Scelta questa che portò all'epoca a criticare Clément (stupidamente) per essersi lasciato trascinare dal modo italiano di fare film.
Quello che viene fuori è una storia magnificamente condotta su un doppio binario legato benissimo che prende il meglio dai due modi di raccontare una storia e da vita a minuscole situazioni che si lasciano ricordare per giorni (su tutte la scena in cui Gabin ordina due grappe e la cameriera si illude che sia per offrirne a lei; una scena tutta giocata con le immagini e non con le parole).

Gabin ovviamente ci sguazza in un personaggio del genere (non credo che potessero scegliere qualcun altro); come coprotagonista invece c'è una bilingue Isa Miranda, incredibilmente brava e non irritante (solo quando parla in italiano sembra non riuscire a trattenere il suo modo strascicato di parlare).

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