venerdì 4 maggio 2018

Ready player one - Steven Spielberg (2018)

(Id.)

Visto al cinema.

Spielberg torna ai film per ragazzi (età media aumentata rispetto ai classici Amblin anni '80) e, contemporaneamente, all'action; per farlo prende una storia moderna, ma citazionista al massimo, icnentrata sulla cultura pop anni '80... Spielberg che gioca la carta del post-modernismo citando sé stesso...

La confezione è data da un libro che parla di un futuro distopico dove un videogioco a realtà aumentata è il centro della vita di ognuno. Dove il creatore di quel gioco è morto e ha lasciato 3 chiavi nascoste nel mondo digitale e chi le dovesse scoprire diverrebbe il nuovo proprietario delle azioni dell'azienda. Una compagnia di videogiochi al cui vertici si trova un uomo senza scrupoli sarà l'antagonista di una gilda di regazzini, tutti outsiders, che lotteranno da soli per non lasciare che il mondo digitale finisca nelle mani sbagliate.

Assolutamente niente di nuovo per quanto concerna il plot, ma quello che è rinfrancante è il piglio senza prese di posizione preconcette del film. La vita virtuale è complessa tanto quella reale e le interazioni altrettanto articolate e i sentimenti sviluppati nel videogioco contano tanto quelli della vita fuori dal digitale. Il problema e la soluzione combaciano dando al mondo videoludico l'assenza di connotazione aprioristica. Un bel passo in avanti (rovinato da pochi secondi del finale, ma ci arriveremo).
Dall'altra parte c'è il solito rispetto che Spielberg da al suo pubblico e ai suoi personaggi (chiunque essi siano) e con il suo gruppo di eroi adolescenti ritorna nel proprio, ma aumentandone l'età si associa alla serie di film iniziati con le grandi saghe pre e post puberali dell'ultimo decennio (da "Harry Potter" ad "Hunger Games") dove lo scontro generazionale diventa esplicito e il nuovo non è il male.
Infine, Spielberg da sfogo alla sua capacità dio creare azione, anzi, azioni. Nei suoi ultimi film "action" ("Tintin", l'ultimo "Indiana Jones"), il regista ama mettere sequenze action tra le più disparate per tipologia e qua (seppure decisamente meno che nei precedenti) passa dagli inseguimenti in auto, allo scontro fra robbottoni, dalla battaglia epica, alle arti marziali (molto poco a dire il vero).
Il tutto in una sequenza di scene dal ritmo costante, in cui le pause di dialogo sono mantenuto attive dal ritmo complessivo in una cavalcata che non riesce mai ad annoiare.

Ah si, c'è pure un citazionismo costante di tutta la cultura pop (film, tanti, ma anche musica e videogiochi) anni '80 (solo la Disney ne è rimasta fuori per questioni legali) che è un piacevole gioco al riconoscimento su più livelli; ma questo punto di vista riesce a rimanere comunque secondario rispetto al resto del film, un'aggiunta gustosa, ma non determinante.

L'unico neo è un argomento "di nicchia" come i videogiochi trattato in un film il più possibile mainstream. Per amor di chiarezza Spielberg si dilunga in alcune spiegazioni eccessive sulle dinamiche videoludiche piuttosto banali, ma utili per allargare lo spettro di fruibilità del film. Spiegazioni che, salvo pochissimi momenti, riescono ad essere ben camuffate nella vicenda.
Totalmente non camuffata, invece, la svolta reazionaria a pochi secondi dalla fine, con un finalino che smentisce l'intero castello di dignità dato alla vita virtuale. Poca cosa, lo ammetto, ma messo in una posizione determinate e che disfa gran parte dell'encomiabile lavoro fatto fino a quel punto.

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