lunedì 23 marzo 2015

Bad boy Bubby - Rolf de Heer (1993)

(Id.)

Visto in Dvx, in lingua originale sottotitolato in inglese.
Figlio di una donna psicopatica che gli fa credere che il mondo fuori dalla stanza dove abitano sia un'apocalisse tossica cresce separato da chiunque. La madre psicotica si occupa di lui in tutto e per tutto, gli cucina pane e zucchero tutti i giorni, lo lava a 35 anni suonati e gli somministra del sesso (grasso e anziano sesso) abituandolo a una taglia di reggiseno piuttosto importante. Intanto l'uomo fatto cresce sotto l'ossessione di un Gesù che lo controlla e torturando il gatto di casa.
Quando in casa torna paparino dopo 35 anni le cose cambiano, ma non in meglio. Uccide tutti (ma ha già ucciso il gatto da tempo) e fugge; là fuori non viene preso per il pazzo che è, ma solo come un minus standard, si unisce a un gruppo musicale di cui diventa il frontman con i suoi happening sonori dove ripete le frasi dell'infanzia e si innamora di un'infermiera che si occupa di disabili.
Il tutto con molte perversioni, blasfemie e tette.

Che poi si sa, i film australiani che arrivano da noi sono pochi, ma quei pochi hanno, di solito, una marcia in più in ambito weirdo. A volte riescono a fare cose enormi con praticamente nulla in mano, a volte (come in questo caso) hanno un'idea malatissima di fondo e ci tirano fuori... beh questo film. Quello che ne viene fuori è una specie di "Sbucato dal passato" in versione perversa in cui il protagonista è un "Ragazzo selvaggio" grottesco e blasfemo.

A livello più tecnico il film è un'enorme prova autoriale. La trama è una sorta di evoluzione umana di una sola persona; parte da uno stato infantile, dove si limita a fare suoni o di ripetere le parole sentite fino a divenire un artista ateo e innamorato; nel mezzo ci sono citazioni freudiane, riferimenti religiosi continui e la scoperta di luoghi, sapori, esperienze.
Il film è realizzato in maniera piuttosto schematica, nella regia, nella prima parte, che si fa più libera nella parte centrale senza mai smettere di essere rigorosa (si pensi alla scena della scoperta dell'albero dove la macchina da presa oscilla), ritorna poi ferrea nella parte finale. Nella fotografia de Heer si affida a uno specialista per ogni ambiente ottenendo scene molto diverse (per me vince la prima performance con la band, dove la musica ossessiva, il primissimo piano, la recitazione e la voce di Hope e il gioco di luci rendono la scena efficacissima).
Bravissimo il cast che rende credibile una carrellata di personaggi improbabili, su tutti ovviamente Hope che fa di tutto nei panni del protagonista a livello fisico, a livello di sopportazione (i rapporti con la madre, il fatto che mangi scarafaggi) e nell'uso che fa anche della voce (cambia tono in base al fatto che a parlare sia Bubby o Pop).

A lungo andare effettivamente il film pecca di tracotanza e si dilunga in ripetizioni inutili (le varie scene con la band), ma il risultato finale è assolutamente positivo. Sorprendente de Heer che si destreggia tra film così diversi (si veda "The tracker").
A mio avviso inoltre il vero significato del film è che se sei un weirdo, in Australia, sono tutti disposti ad aiutarti e hai anche donnine dell'esercito della salvezza che ti somministrano del sesso.

PS: sono l'unico che vede notevoli somiglianze fra il Bubby cantante e Nick Cave?

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